sabato 9 giugno 2018

MARYGOLD, One Light Year (2017)


Nati nel lontano 1994 come cover band dei Marillion era Fish (influenza ancora presente), i Marygold arrivarono al debutto nel 2005 con The Guns of Marygold, disco ben accolto dalla critica di settore. Dopo un lungo periodo lontano dalle scene, la creazione di nuovi pezzi e la supervisione di Fabio Serra nei suoi Opal Arts Studios ha portato alla pubblicazione del recente One Light Year, un ottimo come back che riporta in auge un nome, come tanti, dimenticato nel tempo (anche se vi è traccia sull’opera Rock Progressivo Italiano 1980-2013 di Massimo Salari di recente uscita). Il loro new prog d’annata risente di tutte le influenze di fine ’80 inizio ’90 ma Guido Cavalleri (voce e flauto), Massimo Basaglia (chitarra), Stefano Bigarelli (tastiere), Marco Pasquetto (batteria) e Alberto Molesini (basso) sono stati davvero egregi nel creare un platter sofisticato, elegante e malinconicamente sognante, capace di trasportare indietro nel tempo, in quei giorni in cui il movimento traeva imput proprio da album come Script for a Jester’s tear e Misplaced childhood. Il disco si mostra maturo e ciò si evince da sette composizioni corpose e affascinanti, elaborazione di un songwriting curato e di doti esecutive di rilievo. Ants in the sand apre in maniera assolutamente classica il lavoro, un concentrato di new prog che farà la felicità di quanti ancora rimpiangono quel periodo, episodio in cui compare anche la brava Irene Tamassia, abile nel duettare con Cavalleri. Anche 15 years non si discosta da certe pulsioni, mentre Spherax H20 mette in luce tutte le qualità del quintetto, sintesi ideale di un percorso lungo e con meno soddisfazioni di quante potevano essere, situazione comune a tanti gruppi meritevoli di maggiore supporto. Travel notes on Bretagne conferma l’attitudine romantica del prodotto e riesce a mantenersi su livelli alti anche dopo un rilevante trittico iniziale, a cui segue il bel passaggio strumentale di Without stalagmite, strutturato e dinamico. Ci avviciniamo alla conclusione dapprima con Pain, ancora vicina ai vari Iq e Twelfth Night e poi con Lord of time, altro pezzo che racchiude le varie anime e sfaccettature di un ensemble che fa del suo essere vintage un vezzo, che non cerca novità per compiacere ma sa dove andare a colpire con classe per emozionare i prog fans più nostalgici. (Luigi Cattaneo)
 
Lord of time (Video)
 

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