La storia della Reale
Accademia di Musica parte da lontano. Dalla fine degli anni ’60, più
precisamente dal 1968, quando cinque ragazzi di Roma (Henryk Topel Cabanes alla
voce, Pericle Sponzilli alla chitarra, Federico Troiani alle tastiere, Piero
Pavone al basso e Ruggero Stefani alla batteria) danno vita ai Fholks. Non una
cosa da poco se si pensa che di lì a breve avranno la fortuna e il merito di
aprire i live italiani di Jimi Hendrix, partecipare a diversi festival del
periodo (tra cui Gualdo pop e lo storico Caracalla) ed essere notati da Maurizio
Vandelli che gli produce un 45 giri (Mi
scorri nelle vene, traduzione di Soldier
in our Town degli Iron Butterfly) e il primo lavoro. L’uscita di Stefani
determina l’inserimento in organico di Roberto Senzasono e il cambio di
monicker in un più consono ed evocativo Reale Accademia di Musica. La
formazione perde però strada facendo anche Sponzilli che viene sostituito dal
chitarrista delle Esperienze Nicola Agrimi. L’omonimo del 1972, uscito per la
Ricordi, ricalca modelli inglesi e resta sempre in equilibrio tra momenti più
tirati e quasi hard come l’elettrica Vertigine
(forse l’apice di questo debut) e altri prevalentemente acustici ma
ugualmente intensi come Favola e Il Mattino, episodi sempre aggraziati e
in possesso di una discreta dose di malinconia che ci catapultano nel mondo
sognante della RADM. Se Nessuno sa è
una composizione molto leggera ma comunque gradevole, molto più dura e
tenebrosa è Padre, altra traccia di
grande fascino e con un testo sul conflitto generazionale piuttosto sentito. Buono
il compito svolto da tutto il gruppo su Lavoro
in città , che conferma come la Reale non abbia apportato novità stilistiche
particolari ad un sound vicino a quello albionico e memore anche dei
cambiamenti in atto in Italia. I rimandi a gruppi storici dell’epoca ci sono
tutti, dai Moody Blues ai Procol Harum per passare all’hard blues dei Deep
Purple ma il risultato, anche se non brilla per originalità , è assolutamente
piacevole e si può ritenere questo esordio un piccolo classico (magari minore)
che ha avuto la giusta collocazione solo a distanza di parecchi decenni. Tutto
il disco appare suggestivo e leggiadro, con Troiani che spicca più degli altri
e la voce di Topel, che pur non particolarmente ficcante, è in linea con il
sobrio percorso e il mood emotivo che traspare lungo il platter. A posteriori
potremmo dire che la supervisione di Vandelli forse alleggerì (per non dire
appiattì) il sound della RADM, che in alcuni momenti avrebbe beneficiato di un
maggior dinamismo.
Un lavoro di riscoperta
che ha coinvolto anche il secondo disco del 1974, venuto fuori dall’incontro
con Adriano Monteduro, cantautore con cui collaborarono per un breve periodo. In
quel frangente la Reale inserisce in organico Dino Cappa al basso e Gianfranco
Coletta (ex Banco del Mutuo Soccorso e Chetro & Co.) alla chitarra, che si
uniscono ai rimasti Topel, Senzasono e Troiani. Questa line up operò insieme a
Monteduro, anche lui piuttosto giovane e alle prime esperienze discografiche
(aveva pubblicato il 7 pollici Non è
felicità /Tempo di andare) in un disco che era la somma delle due parti. RADM/Adriano Monteduro ha molto
dell’unplugged, anche se qua e là spunta fuori qualche vagito elettrico, ma si
tratta chiaramente di un disco cantautorale che ha però il mordente che poteva
confluire dall’utilizzo di un gruppo rock già discretamente affiatato. Anche
qui non possiamo parlare di sperimentazione, sussulti avanguardistici o novitÃ
stilistiche, quanto più di un lavoro sincero e raffinato, con una bella cura
per arrangiamenti che colorano e nobilitano pezzi freschi e immediati in cui
emergono sia doti compositive che tecniche (un episodio su tutti può essere La Favola del Guardiano del bosco). È
una piccola perla rivalutata con lo scorrere del tempo, una bella fusione tra
rock e mondo cantautorale a cui si poteva assistere in quegli anni (oltre al
famoso incontro tra Fabrizio De Andrè e la P.F.M. possiamo ricordare tra gli
altri anche quello tra Francesco Guccini e i Nomadi). Un incontro equilibrato
tra sottili melodie, folk e rock, che ritroviamo in pezzi davvero ottimi come Viaggio Libero o Le Montagne nel Tramonto.
Nel 1975 la RADM suona
nell’album di Nada 1930: il domatore
delle scimmie e Topel risulta essere uno dei maggiori compositori di tutta
l’opera.
Monteduro ha pubblicato
diversi dischi utilizzando il nome della Reale, tra cui è bene citare Il linguaggio delle cose del 2008 e Tempo senza tempo del 2009, in cui però
non figura realmente il gruppo romano!
Arriviamo ai giorni
nostri con la pubblicazione di La Cometa,
un album che Topel aveva pensato e scritto nel 1974 (e registrato nel dicembre
dello stesso anno ai Sonic Studio di Roma) che non vide mai la luce, un lavoro
rimasto avvolto nel mistero per quasi 40 anni. Il suono è quello di inizio anni
’70, già a partire dall’iniziale title track, venata dal piano jazz di Troiani
e aperture prog di buona fattura. Oltre a Topel gli amici di sempre che si
alternano nei 30 minuti circa di questo breve ritrovamento di un gruppo che di
lì a poco si sarebbe dissolto nel nulla. La seguente Nenae è una delicata ballata che ricorda lo stile di Monteduro
(presente comunque nel disco) e si avvale della slide di Coletta, mentre tutta
un’altra musica è Quando Morirò,
divertente e appassionante danza che ironizza sulla morte, una traccia davvero
trascinante, complice anche il lavoro di Tony Marcus al violino. Gradevole folk
rock in Aereoporto, percussioni e
piano invece imbastiscono la strumentale Macumba
Hotel, che si accende nella seconda parte con l’entrata della chitarra
elettrica che si muove agile tra le ritmiche del gruppo. Oratorio sembra uscire da una messa beat ed è il primo episodio che
ho trovato di una leggerezza eccessiva, così come non mi ha molto convinto Una canzone, che presenta un buon
interplay tra piano e violino ma risulta alla lunga piuttosto scontata.
Chiudono l’album il jazz di New Orleans di Uomo
Rosa e Topolino Topel, un breve
strumentale che non aggiunge molto a quanto sinora sentito. La cometa è un album buono per metà , la
prima, dove Topel ha riversato le maggiori energie e scritto brani che non
sfigurano accanto a quelli da tutti noi amati della RADM, mentre la seconda
appare fin troppo prevedibile e l’intensità che ha sempre contraddistinto la
proposta del gruppo scende davvero troppo. Un’occasione persa? No, solo la
consapevolezza che non ci troviamo dinnanzi ad una nuova gemma del prog
italiano quanto più di fronte ad un come back piacevole che avrebbe potuto dare
di più se si fosse evitata qualche caduta di tono troppo palese. Ma in tempi di
reunion mai dire mai e dopo questa pubblicazione ci aspettiamo di ritrovare la
Reale a lavorare magari su un album di inediti per i tanti fan che ancora
sognano sulle atmosfere bucoliche che erano capaci di emanare. (Luigi Cattaneo)
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