sabato 24 maggio 2014

REALE ACCADEMIA DI MUSICA, La Cometa lunga 40 anni

La storia della Reale Accademia di Musica parte da lontano. Dalla fine degli anni ’60, più precisamente dal 1968, quando cinque ragazzi di Roma (Henryk Topel Cabanes alla voce, Pericle Sponzilli alla chitarra, Federico Troiani alle tastiere, Piero Pavone al basso e Ruggero Stefani alla batteria) danno vita ai Fholks. Non una cosa da poco se si pensa che di lì a breve avranno la fortuna e il merito di aprire i live italiani di Jimi Hendrix, partecipare a diversi festival del periodo (tra cui Gualdo pop e lo storico Caracalla) ed essere notati da Maurizio Vandelli che gli produce un 45 giri (Mi scorri nelle vene, traduzione di Soldier in our Town degli Iron Butterfly) e il primo lavoro. L’uscita di Stefani determina l’inserimento in organico di Roberto Senzasono e il cambio di monicker in un più consono ed evocativo Reale Accademia di Musica. La formazione perde però strada facendo anche Sponzilli che viene sostituito dal chitarrista delle Esperienze Nicola Agrimi. L’omonimo del 1972, uscito per la Ricordi, ricalca modelli inglesi e resta sempre in equilibrio tra momenti più tirati e quasi hard come l’elettrica Vertigine (forse l’apice di questo debut) e altri prevalentemente acustici ma ugualmente intensi come Favola e Il Mattino, episodi sempre aggraziati e in possesso di una discreta dose di malinconia che ci catapultano nel mondo sognante della RADM. Se Nessuno sa è una composizione molto leggera ma comunque gradevole, molto più dura e tenebrosa è Padre, altra traccia di grande fascino e con un testo sul conflitto generazionale piuttosto sentito. Buono il compito svolto da tutto il gruppo su Lavoro in città, che conferma come la Reale non abbia apportato novità stilistiche particolari ad un sound vicino a quello albionico e memore anche dei cambiamenti in atto in Italia. I rimandi a gruppi storici dell’epoca ci sono tutti, dai Moody Blues ai Procol Harum per passare all’hard blues dei Deep Purple ma il risultato, anche se non brilla per originalità, è assolutamente piacevole e si può ritenere questo esordio un piccolo classico (magari minore) che ha avuto la giusta collocazione solo a distanza di parecchi decenni. Tutto il disco appare suggestivo e leggiadro, con Troiani che spicca più degli altri e la voce di Topel, che pur non particolarmente ficcante, è in linea con il sobrio percorso e il mood emotivo che traspare lungo il platter. A posteriori potremmo dire che la supervisione di Vandelli forse alleggerì (per non dire appiattì) il sound della RADM, che in alcuni momenti avrebbe beneficiato di un maggior dinamismo.
 

Un lavoro di riscoperta che ha coinvolto anche il secondo disco del 1974, venuto fuori dall’incontro con Adriano Monteduro, cantautore con cui collaborarono per un breve periodo. In quel frangente la Reale inserisce in organico Dino Cappa al basso e Gianfranco Coletta (ex Banco del Mutuo Soccorso e Chetro & Co.) alla chitarra, che si uniscono ai rimasti Topel, Senzasono e Troiani. Questa line up operò insieme a Monteduro, anche lui piuttosto giovane e alle prime esperienze discografiche (aveva pubblicato il 7 pollici Non è felicità/Tempo di andare) in un disco che era la somma delle due parti. RADM/Adriano Monteduro ha molto dell’unplugged, anche se qua e là spunta fuori qualche vagito elettrico, ma si tratta chiaramente di un disco cantautorale che ha però il mordente che poteva confluire dall’utilizzo di un gruppo rock già discretamente affiatato. Anche qui non possiamo parlare di sperimentazione, sussulti avanguardistici o novità stilistiche, quanto più di un lavoro sincero e raffinato, con una bella cura per arrangiamenti che colorano e nobilitano pezzi freschi e immediati in cui emergono sia doti compositive che tecniche (un episodio su tutti può essere La Favola del Guardiano del bosco). È una piccola perla rivalutata con lo scorrere del tempo, una bella fusione tra rock e mondo cantautorale a cui si poteva assistere in quegli anni (oltre al famoso incontro tra Fabrizio De Andrè e la P.F.M. possiamo ricordare tra gli altri anche quello tra Francesco Guccini e i Nomadi). Un incontro equilibrato tra sottili melodie, folk e rock, che ritroviamo in pezzi davvero ottimi come Viaggio Libero o Le Montagne nel Tramonto.



Nel 1975 la RADM suona nell’album di Nada 1930: il domatore delle scimmie e Topel risulta essere uno dei maggiori compositori di tutta l’opera.


Monteduro ha pubblicato diversi dischi utilizzando il nome della Reale, tra cui è bene citare Il linguaggio delle cose del 2008 e Tempo senza tempo del 2009, in cui però non figura realmente il gruppo romano!

                                                             

Arriviamo ai giorni nostri con la pubblicazione di La Cometa, un album che Topel aveva pensato e scritto nel 1974 (e registrato nel dicembre dello stesso anno ai Sonic Studio di Roma) che non vide mai la luce, un lavoro rimasto avvolto nel mistero per quasi 40 anni. Il suono è quello di inizio anni ’70, già a partire dall’iniziale title track, venata dal piano jazz di Troiani e aperture prog di buona fattura. Oltre a Topel gli amici di sempre che si alternano nei 30 minuti circa di questo breve ritrovamento di un gruppo che di lì a poco si sarebbe dissolto nel nulla. La seguente Nenae è una delicata ballata che ricorda lo stile di Monteduro (presente comunque nel disco) e si avvale della slide di Coletta, mentre tutta un’altra musica è Quando Morirò, divertente e appassionante danza che ironizza sulla morte, una traccia davvero trascinante, complice anche il lavoro di Tony Marcus al violino. Gradevole folk rock in Aereoporto, percussioni e piano invece imbastiscono la strumentale Macumba Hotel, che si accende nella seconda parte con l’entrata della chitarra elettrica che si muove agile tra le ritmiche del gruppo. Oratorio sembra uscire da una messa beat ed è il primo episodio che ho trovato di una leggerezza eccessiva, così come non mi ha molto convinto Una canzone, che presenta un buon interplay tra piano e violino ma risulta alla lunga piuttosto scontata. Chiudono l’album il jazz di New Orleans di Uomo Rosa e Topolino Topel, un breve strumentale che non aggiunge molto a quanto sinora sentito. La cometa è un album buono per metà, la prima, dove Topel ha riversato le maggiori energie e scritto brani che non sfigurano accanto a quelli da tutti noi amati della RADM, mentre la seconda appare fin troppo prevedibile e l’intensità che ha sempre contraddistinto la proposta del gruppo scende davvero troppo. Un’occasione persa? No, solo la consapevolezza che non ci troviamo dinnanzi ad una nuova gemma del prog italiano quanto più di fronte ad un come back piacevole che avrebbe potuto dare di più se si fosse evitata qualche caduta di tono troppo palese. Ma in tempi di reunion mai dire mai e dopo questa pubblicazione ci aspettiamo di ritrovare la Reale a lavorare magari su un album di inediti per i tanti fan che ancora sognano sulle atmosfere bucoliche che erano capaci di emanare. (Luigi Cattaneo)

  
 


       





 



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