lunedì 12 maggio 2014

TAPROBAN, Strigma (2013)


Ci sono alcune band che nel corso degli anni raccolgono meno di quanto dovrebbero. Ho sempre pensato che i Taproban avrebbero meritato maggiori fortune e più ampi riconoscimenti. Dopo un periodo di assenza dalle scene, Gianluca De Rossi nel 2012 ha riportato in vita la sua creatura per terminare la quadrilogia degli elementi iniziata nel 2002 con Ogni pensiero vola e proseguita nel 2004 con Outside Nowhere e nel 2006 con Posidonian Fields (chi non lo ha è pregato di procurarselo). Un inizio di carriera scandito da una certa continuità e da una crescita artistica costante e piuttosto concreta. Abbiamo dovuto attendere ben sette anni per gustarci questo finale di quadrilogia, a cui mancava l’elemento del fuoco. Così ha preso corpo Strigma, crasi tra due vocaboli latini, strix (strega) e stigma (marchio) che formano la parola che ha dato il titolo al disco (letteralmente il marchio della strega). De Rossi ha associato il fuoco alla figura femminile e le tre tracce presenti a questo fanno riferimento. Oltre a De Rossi (tastiere, flauto e voce) troviamo nella line up Roberto Vitelli (basso e chitarra) e Francesco Pandico (batteria e percussioni), un trio vicino per sonorità agli Emerson Lake & Palmer ma anche ai nostrani Balletto di Bronzo e Goblin, con cui condividono un’anima dark che aleggia su tutto il lavoro. Gli anni settanta son ben presenti, con le suite tipiche del prog e certe strutture e dinamiche decisamente old style, ma il risultato non è mai per un attimo stantio, anzi, risulta fresco, vibrante e soprattutto coinvolgente. Tre racconti in musica in cui calarsi e lasciarsi trasportare come se si stesse guardando un film. E questa è la sensazione dell’iniziale Nesia al Notturno Congresso delle Streghe, parabola che narra la storia di una dodicenne condannata al rogo dalla Santa Inquisizione dopo aver accidentalmente partecipato ad un Sabba. I 15 minuti appaiono tetri, oscuri, sottolineati da maestosi passaggi orchestrali di grande effetto. D’altronde De Rossi è il grande protagonista dell’album e le sue dita scorrono sicure lungo tutto il tragitto, costellato di Hammond, Minimoog, Mellotron e artiglieria varia! La scia gobliniana è meno evidente in Lo sguardo di Emily, brano che racconta l’attimo in cui lo sguardo di due ragazzi, che viaggiano su treni in direzione opposta, si incrocia facendoli innamorare. Anche in questo caso i Taproban sono bravi nel farci immaginare il momento, attraverso sezioni ora più sostenute ora più delicate (e qui De Rossi si cimenta anche al flauto). Lunga chiusura con La porta nel buio, suite dedicata alla solitudine. Le trame pianistiche si sposano con varianti prog di notevole fattura, passaggi ardimentosi e cambi di tempo come tradizione vuole, un piccolo gioiello di intensità che omaggia una stagione oramai irripetibile della nostra storia musicale. I Taproban sono tornati e ci hanno regalato un disco emozionante e orgogliosamente vintage. (Luigi Cattaneo)

Lo sguardo di Emily (Video)

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