Ancora una volta i romani
RanestRane scelgono la strada dell’evocazione personale di una pellicola
fondamentale per lo sviluppo del cinema e dopo gli straordinari omaggi fatti a Shining e Nosferatu ora tocca all’ipnotico 2001 Odissea nello spazio di
Stanley Kubrick. È bene dire che il gruppo ha sempre dato una visione personale
di questi cine-concerto proposti, inserendo nei dischi stralci dei film
tributati e nei live collage di immagini che fanno delle loro esibizioni dei
piccoli eventi. Questo A Space Odissey:
part I Monolith è il primo tempo di un progetto ad ampio raggio e che parte
coinvolgendo due ospiti d’eccezione, Steve Hogarth e Steve Rothery, ossia la
voce e la chitarra dei Marillion. Il primo presente in Mementoes e Cenotaph è
sempre un piacere ascoltarlo, il secondo si presta a suo modo nei soli di Materna Luna e nella strumentale Monolith (part two). La scrittura dei
quattro è sempre ricchissima di particolari e di sfumature che amplificano
ancor di più l’immaginario esposto, descrizioni finissime rese con maestria e
sonorità che sanno pescare a piene mani dagli anni ’70 senza farne il verso. Difatti
A Space Odissey richiama sì alla
mente band seminali (Genesis, Marillion, Premiata Forneria Marconi) ma non
appare passatista o pensato solo per i nostalgici e pur non presentando
soluzioni innovative ha il merito di risultare brillante e figlio del proprio
tempo. I RanestRane hanno dalla loro la voglia di restare attaccati al filone
cinematografico e visti i risultati così profondi e coinvolgenti appare
difficile pensare a dischi differenti da quelli sinora prodotti. Il lavoro
svolto da Maurizio Meo (basso), Riccardo Romano (tastiere), Daniele Pomo (voce,
batteria e flauto) e Massimo Pomo (chitarra) è straordinariamente visionario,
con passaggi davvero da brividi (Dolore
cosmico, Clavius) e una
continuità di momenti esemplari che ci accompagnano lungo tutto l’arco del
racconto. La forza della band è anche quella di riuscire a creare in chi
ascolta pensieri e immagini pur se si ha poca memoria del film e la lunghissima
e intricata suite iniziale, Semi, è
l’esempio più fulgido da cui partire. La coppia Pomo-Meo appare salda e sicura
di sé (con il primo anche convincente vocalist), Romano si esibisce in
soluzioni sinfoniche di grande classe ed effetto, mentre Massimo Pomo è un
chitarrista mai sopra le righe e sempre attento al dettaglio. Ma tutto l’album
è un susseguirsi di frangenti splendidi, di ricami raffinati ed evocativi che
fanno di questo A Space Odissey: part I
Monolith uno dei dischi più riusciti di progressive italiano degli ultimi
anni. (Luigi Cattaneo)
Materna Luna (Video)
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