Dopo 4 anni di silenzio
(era il 2012 quando pubblicarono l’interessante Volume 1), tornano i Funeral Marmoori (Capitano alla voce e alla
chitarra, Annalisa al basso, Nadin al Farfisa e ai synth e Boss alla batteria)
con il nuovo e valido The deer woman.
Le sonorità non sono mutate durante questo periodo e il quartetto presenta
ancora un’affascinante miscela di doom, psichedelia vintage e heavy metal, un
turbinio di suoni in cui emerge l’amore per i Saint Vitus, i primi Death SS
(nell’album è presente anche un omaggio alla band di Steve Sylvester, la
storica Profanation), i Black Sabbath
e in parte per il progressive rock italiano dei ’70. Le ritmiche solide e di
matrice hard della coppia formata da Boss e Annalisa e i riff distorti di
Capitano defluiscono nei suoni caldi dell’organo, che dona distillati melodici
all’interno di un contesto pesante e volutamente greve. I fiorentini puntano
molto su brani carichi di tensione, elemento cardine che rimane costante per
buona parte del disco, fin dall’iniziale e lugubre title track colma di spezie
settantiane e fumi psichedelici. Boletus
Satanas ha elementi più vicini al doom, mentre Last sip incrocia l’hard rock di inizio ’70 con il dark prog,
ricordandomi il suono dei toscani Three Monks. Drunk in hell è uno dei pezzi maggiormente trascinanti e proietta
ancora l’attenzione del gruppo sui primi passi dell’heavy, in special modo per
il lavoro di Capitano e Nadin. Puro psych nella gradevolissima Hunter lies, così come convince la
conclusiva e lunga Petronica. Buon
ritorno per i Funeral Marmoori, davvero encomiabili nella loro proposta demodè
ma ancora efficace, segno che quando si hanno idee giuste come in questo caso
non c’è per forza bisogno di rivoluzionare il mercato discografico con delle
presunte novità stilistiche … (Luigi Cattaneo)
Petronica (Video)
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