Quarto album per i
Grimorio, gruppo guidato saldamente da Sebastiano Conti (chitarra) ed ennesima
conferma della sua passione per l’heavy dark di matrice Black Sabbath, quando
Ozzy Osbourne e Tony Iommi furoreggiavano con dischi storici come l’omonimo o Master of Reality. Si respira quindi
aria di anni ’70, si viaggia in fitti boschi dove il mistero è dietro l’angolo,
si sente il suono di neri rituali, antiche magie, sospinte da tracce potenti e
strutturate, in cui Conti è accompagnato da James Lomenzo al basso (già con
Megadeth, Black Label Society, White Lion e la band di Ozzy), Federico
Paulovich alla batteria (dai bravissimi Destrage) e Nicklas Sonne alla voce
(Defecto, Theory). I Sabbath si sentono subito nella cadenzata e oscura opener Pale figure, importante per stabilire le
coordinate di un lavoro comunque non scontato, che prosegue con la tirata Sly ghost, puro hard & heavy
settantiano in cui brilla Sonne. The trip
estremizza il concetto di southern rock, mentre Infinite love mostra come la band si sappia destreggiare benissimo
anche all’interno di una ballata elegante e con qualche punta di sana psichedelia,
con la partecipazione di Larsen Premoli alle tastiere. It’s just a lie torna a picchiare duro e lo fa egregiamente bene, facendo
il paio con la trascinante Southern
tradition. The time has come è
marchiata a fuoco dai riff di Conti, Epiphany’s
Voodoo è invece l’unico strumentale presente e vede l’importante
collaborazione con Salvo Mazzotta alle tastiere e Peppe Taccone alle congas. La
misteriosa Black wood torna sui
consoni terreni cari ai Bastian, prima della conclusiva Fallen gods, otto minuti che ben sintetizzano le caratteristiche
sin qui emerse e che chiude un ritorno sostanzioso e granitico. (Luigi
Cattaneo)
It's just a lie (Video)
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