È sempre un piacere
scoprire nuove realtà del panorama underground nostrano, talmente ricco e fitto
di band che diventa davvero complesso rimanere aggiornato sulle novità del sottobosco,
come il debutto dei Driftin' Line, progetto nato nel lontano nel 2006 dalla
mente del tastierista Valerio Città ma che ha trovato la definitiva quadratura
nel 2015, quando la band ha iniziato ha lavorare al materiale di questo Born
as slaves We die free, un concept sulla guerra pubblicato nel 2021 dall’Underground
Symphony. Quando si parla di prog metal viene naturale pensare ai Dream Theater,
e in effetti le prime note dell’intro In solitude e della successiva strumentale
A glimmer of freedom sembrano guardare in quella direzione, con la
tecnica dei sette musicisti che sorregge strutture melodiche e suggestive. Delicatezza
e propensione hard ammantano One more soul, mentre The old river sembra
guardare ai Pain of Salvation di inizio carriera, prima di The son of
Juambali e Blind madness, brani ricchi di pathos e sentimento. La seconda
parte del lavoro si apre con A prayer, che parte in maniera molto tenue
e lieve, per poi avere un crescendo emotivo notevole, che confluisce in Never
again e in A promise, altre sezioni del racconto davvero ottime, sia
come impatto che come scrittura. La chiusura è affidata alla suite Getaway,
che non fa altro che confermare la qualità complessiva di questo esordio, opera
prima di un gruppo che ha tutte le carte in regola per imporsi nell’affollato
panorama prog metal italiano. (Luigi Cattaneo)
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