Quando si nominano gli Apoteosi ci si imbatte inevitabilmente in una storia unica e particolare. Primo perché il luogo di nascita del gruppo, la Calabria (Palmi per l’esattezza), non ha dato i natali a nomi di grido del panorama progressivo italiano e poi per l’età davvero bassa dei musicisti coinvolti (Massimo Idà aveva 14 anni…). Storia buffa anche perché gli Apoteosi sono formati in pratica da una famiglia, gli Idà. Difatti Silvana, Federico e Massimo sono fratelli e questo esordio venne stampato nel 1975 grazie alla Said Records di Salvatore Idà (il padre). Tutto in famiglia verrebbe da dire. E non è sbagliato dire che il disco è più conosciuto ora, in epoca di ristampe e web che all’epoca della pubblicazione, probabilmente anche a causa di scarsa distribuzione ed esposizione del prodotto.
Vista la data di pubblicazione è lecito pensare che gli Apoteosi si accodassero alla deriva trascinante del pop sinfonico. In effetti la base di partenza è quella e le citazioni sono ovvie, con la P.F.M. in primis. Ma il risultato pur non brillando in originalità è piuttosto interessante grazie soprattutto a doti tecnico-compositive apprezzabili. L’intro Embrion ha mire space e psichedeliche rese attraverso le tipiche tastiere del periodo che chiariscono sin da subito quali sono le reminiscenze del gruppo calabro. La suite Prima realtà/Frammentaria rivolta lunga quasi 15 minuti ha i connotati di una cavalcata sinfonica che ben esprime il loro amore per quel mondo sonoro che si sta via via sgretolando. Ci sono i richiami ai grandi del prog italiano come Banco del Mutuo Soccorso e P.F.M. (Celebration) e laddove non ci si arriva con l’originalità i calabresi mostrano ottime doti compositive e soprattutto tecniche, visti i cambi di tempo e d’atmosfera che si palesano lungo tutta la suite. Difatti i momenti strumentali sono quelli su cui i 5 fanno maggiore affidamento e su cui forse hanno lavorato con più scrupolo vista la qualità espressa. Non si può dire lo stesso di Silvana Idà, voce del gruppo, che pur in possesso di un timbro vocale dolce e a tratti piacevole ha poco mordente e “costringe” la band ha creare situazioni d’atmosfera in cui farla esprimere, facendo così perdere in parte l’intensità raggiunta. Inoltre i problemi di dizione (a volte troppo evidenti) penalizzano e infastidiscono l’ascoltatore. Quindi il gruppo concede poco spazio al canto e predilige adagiarsi su terreni sicuri in cui dimostrare tutta la confidenza che hanno con i rispettivi strumenti. Su tutti Massimo Idà, bravissimo nel districarsi tra i suoni delle sue tastiere e la sezione ritmica formata da Federico Idà al basso e Marcello Surace alla batteria, una coppia solida e quadrata. Il grande disumano/Oratorio/Attesa è la seconda suite divisa in tre sezioni. La prima è strumentale e mette nuovamente in luce la loro propensione alle strutture articolate, senza dimenticare il gusto per la melodia. Peccato che la seconda parte della suite sia assolutamente da evitare. Una sorta di brano religioso in cui torna ancora più irritante la voce di Silvana Idà che fortunatamente sparisce per lasciare spazio alla smania strumentale dell’ultima sezione piuttosto ispirata. Molto più lieve l’inizio di Dimensione da sogno i cui toni da ballata piano e voce non aiutano la Idà e allora la band tenta di tornare in carreggiata con un finale strumentale che non salva però il brano che risulta il più datato dell’intero lavoro. Chiude la title track strumentale dagli spunti psichedelici che mostra ancora la sorprendente capacità e sensibilità di questi giovani musicisti. Ottime le parti ritmiche piuttosto sostenute e il solo di chitarra di Franco Vinci oltre che le immancabili tastiere di Massimo Idà. Un disco questo dalle molteplici facce. La scarsa originalità viene contrastata da una scrittura convincente e brillante. Le grandi doti tecniche sopperiscono a loro volta alla performance vocale davvero non esaltante e a testi poco interessanti (probabilmente anche a causa della giovane età). In definitiva pur non trovandoci di fronte ad un disco di prima fascia Apoteosi risulta gradevole, sicuramente valido e ricco di spunti che lasciano intravedere come si sarebbe potuto meglio sviluppare il loro percorso se avvessero avuto una seconda possibilità.
Vista la data di pubblicazione è lecito pensare che gli Apoteosi si accodassero alla deriva trascinante del pop sinfonico. In effetti la base di partenza è quella e le citazioni sono ovvie, con la P.F.M. in primis. Ma il risultato pur non brillando in originalità è piuttosto interessante grazie soprattutto a doti tecnico-compositive apprezzabili. L’intro Embrion ha mire space e psichedeliche rese attraverso le tipiche tastiere del periodo che chiariscono sin da subito quali sono le reminiscenze del gruppo calabro. La suite Prima realtà/Frammentaria rivolta lunga quasi 15 minuti ha i connotati di una cavalcata sinfonica che ben esprime il loro amore per quel mondo sonoro che si sta via via sgretolando. Ci sono i richiami ai grandi del prog italiano come Banco del Mutuo Soccorso e P.F.M. (Celebration) e laddove non ci si arriva con l’originalità i calabresi mostrano ottime doti compositive e soprattutto tecniche, visti i cambi di tempo e d’atmosfera che si palesano lungo tutta la suite. Difatti i momenti strumentali sono quelli su cui i 5 fanno maggiore affidamento e su cui forse hanno lavorato con più scrupolo vista la qualità espressa. Non si può dire lo stesso di Silvana Idà, voce del gruppo, che pur in possesso di un timbro vocale dolce e a tratti piacevole ha poco mordente e “costringe” la band ha creare situazioni d’atmosfera in cui farla esprimere, facendo così perdere in parte l’intensità raggiunta. Inoltre i problemi di dizione (a volte troppo evidenti) penalizzano e infastidiscono l’ascoltatore. Quindi il gruppo concede poco spazio al canto e predilige adagiarsi su terreni sicuri in cui dimostrare tutta la confidenza che hanno con i rispettivi strumenti. Su tutti Massimo Idà, bravissimo nel districarsi tra i suoni delle sue tastiere e la sezione ritmica formata da Federico Idà al basso e Marcello Surace alla batteria, una coppia solida e quadrata. Il grande disumano/Oratorio/Attesa è la seconda suite divisa in tre sezioni. La prima è strumentale e mette nuovamente in luce la loro propensione alle strutture articolate, senza dimenticare il gusto per la melodia. Peccato che la seconda parte della suite sia assolutamente da evitare. Una sorta di brano religioso in cui torna ancora più irritante la voce di Silvana Idà che fortunatamente sparisce per lasciare spazio alla smania strumentale dell’ultima sezione piuttosto ispirata. Molto più lieve l’inizio di Dimensione da sogno i cui toni da ballata piano e voce non aiutano la Idà e allora la band tenta di tornare in carreggiata con un finale strumentale che non salva però il brano che risulta il più datato dell’intero lavoro. Chiude la title track strumentale dagli spunti psichedelici che mostra ancora la sorprendente capacità e sensibilità di questi giovani musicisti. Ottime le parti ritmiche piuttosto sostenute e il solo di chitarra di Franco Vinci oltre che le immancabili tastiere di Massimo Idà. Un disco questo dalle molteplici facce. La scarsa originalità viene contrastata da una scrittura convincente e brillante. Le grandi doti tecniche sopperiscono a loro volta alla performance vocale davvero non esaltante e a testi poco interessanti (probabilmente anche a causa della giovane età). In definitiva pur non trovandoci di fronte ad un disco di prima fascia Apoteosi risulta gradevole, sicuramente valido e ricco di spunti che lasciano intravedere come si sarebbe potuto meglio sviluppare il loro percorso se avvessero avuto una seconda possibilità.
Prima Realtà (Video)
Tutto più o meno condivisibile ma penso che ci sia modo e modo di esprimere le proprie idee,specialmente quando sono rivolte a una donna ;-)
RispondiEliminabellissimo disco. peccato non abbiano continuato.....
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