Dopo
aver ascoltato svariate volte il disco in questione mi fermo a pensare a quanto
doveva essere complicato e difficile suscitare interesse nei non appassionati
di progressive durante gli anni ’80, un periodo dove certe sonorità apparivano
(ahimè) già stantie. Ma come i Forzanove quante altre band si trovavano in
questa situazione? Centinaia, probabilmente, che non hanno avuto nemmeno la
fortuna di esprimersi attraverso un disco come invece è capitato ai veneti. La
band di Eraclea riuscì a trovare un contratto con una piccola etichetta
discografica di Milano, la Top Records, per pubblicare l’album d’esordio Autoanalisi. Ma
di fronte a che disco ci troviamo? Sicuramente Autoanalisi non è un disco prog alla Yes o alla Genesis, quindi
nessuna suite o brani dalla struttura particolarmente complessa. Anzi, i
Forzanove prediligono la forma canzone e pongono grande attenzione verso
momenti intimi e comunicativi. D’altronde, proprio come mi ha confessato
Claudio Causin, chitarrista e massimo compositore del gruppo, il loro era un
rock influenzato dal progressive, onesto e di fervido entusiasmo, quello di una
band che dopo aver ascoltato per un intera decade il meglio della musica
targata ’70 decide di dar vita ad un lavoro figlio diretto di quella passione. La
title-track, potente e ben rifinita, apre il disco e subito emerge l’ottimo
lavoro d’insieme, che convince appieno anche senza mostrare momenti individuali
particolarmente interessanti. Il punto di forza del brano appare proprio il
voler creare un suono compatto e scevro di ogni eccesso strumentale. Un mattino si presenta intensa e ben
dosata tra momenti soffusi (la prima parte) e maggiormente viscerali (la parte
finale) in cui spicca la voce sofferta di Piero Bianco, carismatico e capace di
ricordare in alcuni passaggi la rabbia di Alvaro Fella dei Jumbo.Toni da
ballata per Hai vinto tu, con la voce
di Bianco sostenuta dalle tastiere di Mauro Pascal e dalla chitarra di Causin
che nel finale esegue anche un’ interessante solo, primo vero momento solistico
del disco. Le successive Lo specchio e
Vieni, dai mettono in mostra il lato
più rock del gruppo. Lo specchio, pur
non convincendo totalmente, mette in evidenza il grande lavoro della sezione
ritmica, mentre Vieni, dai sembra un
vero e proprio omaggio, sia musicale che testuale, ai Garybaldi di Nuda. Il lato B si apre con Avessi un paio d’ali, delicata ballata
di grande semplicità che sembra scritta apposta per esaltare le qualità
interpretative di Bianco che, a dire il vero, riesce ad esprimersi su ottimi
livelli sia in brani come questo sia in pezzi più tirati e ruvidi. Vicino alla
P.F.M. di Suonare Suonare, la successiva Fermatevi un po’, che però non lascia grandi segni. Molto più
interessante Deserto, decisamente
fresca e vigorosa, giocata nuovamente sulla grande partecipazione collettiva
del gruppo, un momento d’insieme che spinge, questa volta, il brano in direzione
decisamente progressiva. LP chiuso da Coming
with a traveling band, unico brano cantato in inglese ed energico omaggio
del gruppo al rock blues, altra grande passione del bravo Causin. Autoanalisi non è sicuramente un
capolavoro o un disco memorabile ma è ben fatto perché ricco di pathos e di
cuore, dove emerge la grande passione, oltre che la qualità, dei singoli
musicisti per suoni di un passato non così lontano. Inoltre i veneti hanno il
merito di aver provato ad emergere in un contesto musicale ormai differente da
quello di qualche anno prima e le difficoltà risultavano sicuramente ampliate.
Peccato non essere riusciti a creare più nulla, ma, come ho già detto, chissà
quante band... (Luigi Cattaneo)
Autoanalisi (Video)
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