sabato 18 gennaio 2014

ERALDO BERNOCCHI, HAROLD BUDD, ROBIN GUTHRIE, Winter Garden (2011)


Esistono dischi che si adattano perfettamente a determinate stagioni. Musiche che entrano sottopelle e che, legate a ricordi personali, non fatichiamo ad identificare direttamente con una delle stagioni dell’anno, aiutate spesso da un immaginario che suggerisce forse anche più del suono. Il primo album in ordine di tempo con il quale mi capitò fu Pet Sounds dei Beach Boys (e non è certo difficile immaginare quale fosse la stagione). L’ultimo proprio questo Winter Garden, concepito da tre titani come Eraldo Bernocchi, Robin Guthrie, e Harold Budd. Un trio nemmeno troppo anomalo se pensiamo che Budd aveva già collaborato con Bernocchi in Fragments from the inside, pubblicato da Sub Rosa nel 2005 e che lo stesso Budd è amico di vecchia data anche di Robin Guthrie, con il quale aveva lavorato alla registrazione dell’album dei Cocteau Twins The moon & the melodies verso la metà degli anni ottanta. Il pianista americano è in un certo senso anche il protagonista di Winter Garden, che riprende per molti versi quanto lo stesso compositore aveva fatto in passato in coppia con Brian Eno, nello specifico in Ambient two: plateaux of mirror e The pearl, anch’essi risalenti agli anni ottanta. Le sue note di piano, minimali quanto profonde, contribuiscono a conferire al disco una sensazione di nostalgico ricordo che si adatta perfettamente ai colori tenui della stagione in corso. I pezzi sono dilatati al massimo, merito soprattutto dei riverberi del chitarrista di Cocteau Twins e Violet Indiana. A legare il tutto e a rendere concreta la filigrana sonora c’è l’impalcatura di Eraldo Bernocchi, abilissimo a plasmare gli intarsi elettronici quanto a non sottrarre la scena a Budd e Guthrie. Quello che ne esce è un disco ambient dall’esito forse scontato, essendo i tre non proprio di primo pelo e conoscendo bene i lavori che ne hanno costellato la carriera, ma allo stesso tempo caratterizzato da una raffinatezza e suggestione unica. Pezzi come Don’t go where I can’t find you o la title track dipingono paesaggi sconfinati e scenari sfocati, con un suono che sa farsi intimo ma all’occorrenza anche magniloquente e luminoso. Il superamento della musica ambientale come furniture music, come musica di sottofondo da ascoltare facendo altro, non è senz’altro cosa nuova e non avviene per la prima volta con questo disco. Ma allo stesso tempo mi è impossibile non ammettere che Winter Garden riesce a toccare corde davvero profonde. (Paolo Cattaneo)
 
South of heaven (Video)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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