domenica 5 marzo 2017

habelard2, Maybe (2017)


Attivo dal lontano 1977, Sergio Caleca è un tastierista, compositore, chitarrista e bassista, che gli appassionati conoscono soprattutto per la sua militanza negli Ad Maiora, una piccola certezza del progressive italiano contemporaneo con due dischi all’attivo (l’omonimo del 2014 e Repetita Iuvant del 2016). Non tutti sanno che il bravo Caleca ha anche un interessante e prolifica carriera solista sotto lo pseudonimo di habelard2 e che questo Maybe è il terzo disco pubblicato. Rispetto ai primi due episodi in cui il musicista si occupava di tutti gli strumenti, in questo come back Sergio ha scelto di impegnare nelle registrazioni amici della scena prog e il susseguirsi di membri di gruppi come Maxophone, Phoenix Again, Alex Carpani band, Silver Key, Ubi Maior e addirittura gli Ad Maiora al completo ha reso Maybe un prodotto di grande qualità. Buona parte del disco è strumentale, un vintage prog in cui Caleca si destreggia benissimo e che rimanda al periodo storico del genere, con fantasiosi ricami canterburiani e soluzioni sinfoniche gestite con maestria. Si parte con In a bell’s house, sei eleganti minuti in cui il motore ritmico è affidato alla straordinaria coppia formata da Antonio Lorandi dei Phoenix Again al basso ed Enzo Giardina degli Ad Maiora alla batteria. Barlafus è un brano dinamico in cui Giorgio Gabriel dei The Watch si prodiga in un bel lavoro chitarristico, mentre in A lie fa la sua comparsa Joe Sal alla voce, che insieme ad Ettore Salati alla chitarra mi ha ricordato alcune composizioni dei Red Zen. Anche Waiting for a savior presenta una parte vocale, stavolta di competenza di Alberto Ravasini dei Maxophone e rappresenta uno dei pezzi più genesisiani tra i presenti, mentre la lunga Stress è un progressive articolato ma attento all’aspetto melodico. Nella fase centrale Caleca piazza due brevi momenti atmosferici, differenti dagli altri brani, ossia Stringa e Chi era Laynson?, frangenti dove predominano i synth del tastierista coadiuvato dal solo Moreno Piva (Ad Maiora) al basso e il mood generale mi ha riportato alla mente le soundtrack di Fabio Frizzi e il Morricone di Cosa avete fatto a Solange?. Looking for an ashtray è la traccia cantata (da Paolo Callioni, sempre degli Ad Maiora) che mi ha convinto di più, seppure Caleca dimostra di dare il suo meglio in quelle strumentali e Anonimo (di nuovo con Antonio Lorandi) e soprattutto la stupenda title track (nove minuti dove troviamo l’altro Lorandi, Sergio, sempre splendido alla chitarra), sono li a confermarlo. Taste the end, lo dice il titolo, chiude l’album (stavolta alla chitarra c’è Flavio Carnovali) in maniera esemplare. Ci sono altri ospiti, tutti bravissimi, che non ho citato ma che potete scoprire acquistando l’album tramite la pagina bandcamp del progetto https://habelard2.bandcamp.com/album/maybe . (Luigi Cattaneo)

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