venerdì 14 aprile 2017

habelard2, Qwerty (2013)


Abbiamo da poco analizzato l’ultimo album a nome habelard2, Maybe, un lavoro raffinato e decisamente riuscito in cui il mastermind Sergio Caleca si contornava di ottimi musicisti della scena prog italiana. Oggi analizziamo Qwerty, autoprodotto nel 2013 e che vedeva il musicista destreggiarsi da solo tra tastiere (in prevalenza) e chitarre (elettrica, acustica e classica), dando libero sfogo ai suoi pensieri e   riassumendo una carriera più che trentennale. Sergio ha dalla sua di essere un compositore preparato e pure nelle parti più complesse non perde di vista la comunicatività del pezzo (sia un suo disco solista o uno con gli Ad Maiora), in questo caso tutti strumentali. Le ritmiche programmmate non incidono negativamente sulle idee di Caleca, anche se di tanto in tanto si percepisce l’assenza di una vera sezione composta da basso e batteria e qualche brano finisce per risentirne in parte. Tendenzialmente i pezzi sono comunque tutti di buona fattura, con parti in cui si percepisce l’amore per Rick Wakeman, Keith Emerson e Claudio Simonetti ma si ravvisano anche momenti, più o meno volontari, accostabili a compositori come Fabio Frizzi e Riz Ortolani, forse perché il risultato finale a tratti sembra proprio la colonna sonora di un thriller all’italiana dei ’70. L’impianto vintage e le citazioni classiche sono quindi ben presenti, risiedono nel DNA del milanese, innamorato del progressive sinfonico, che qui finisce per omaggiare anche in solitaria. Tutti gli interludi presenti sono brevi frammenti, solitamente elettronici, che introducono il pezzo seguente, uno schema presente già nell’iniziale Another bishop. Ice 9 fa riferimento ad un vecchio libro di fantascienza di Kurt Vonnegut del 1963 e le atmosfere mi hanno riportato al periodo degli sceneggiati prodotti dalla RAI come Extra o A come Andromeda. Più jazzata Gimme fire (che prende leggermente spunto da Dave Brubeck), mentre le uniche scritte a quattro mani (con Moreno Piva, bassista proprio degli Ad Maiora) sono la psichedelica De refrigeriis jugeri e la sofisticata Nenia. La title track, inizialmente composta solo con un sequencer, sviluppa trame indubbiamente interessanti, mentre Almanallo è un tributo a L’almanacco del giorno dopo e Intervallo, vecchie sigle Rai in cui Caleca rievoca non pochi passaggi classicheggianti. Death (in memory of) è una composizione parecchio malinconica, prima dell’epitaffio finale Empty tree, che chiude un disco gradevole e curioso. (Luigi Cattaneo)
 
Qui di seguito il link per ascoltare per intero l'album
 

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