Un’istantanea, una
fotografia che testimonia un momento del tutto eccezionale e che sa essere
profonda e viscerale, capace di cogliere un’esperienza concettuale libera. Le
note si susseguono in una jam arcana e dai contorni poco definiti e non
potrebbe essere altrimenti se nella stessa stanza si trovano due eccentrici
chitarristi come Mark Wingfield (Jane Chapman) e Markus Reuter (Stick Men, The
Crimson Project, Centrozoon) accompagnati da Yaron Stavi al basso (Robert
Wyatt, David Gilmour) e Asaf Sirkis alla batteria (Tim Garland, Nicolas Meier).
The Stone House è il frutto di questo
incontro, un live in studio senza overdubs, completamente improvvisato e per
questo di non facile assimilazione, un rischio che i quattro affrontano con
consapevolezza e disciplina. I due chitarristi creano un interplay che travalica
i limiti dello strumento, un processo dove riescono a trovare spazi individuali
in cui emergono stili paralleli, un idiosincrasia ingegnosa e intraprendente
contro l’uso comune della sei corde. Le ritmiche proposte da Sirkis e Stavi
(una coppia che abbiamo già conosciuto in Proof
of light proprio di Wingfield) sanno essere sia essenziali che
pirotecniche, una ricerca del groove costante che sottolinea i fraseggi
cervellotici dei due chitarristi in modo praticamente perfetto. L’album
racchiude molti elementi tipici del progressive, soprattutto quello legato ai
King Crimson, ai Soft Machine e all’ala radicale del genere, complice anche
l’aspetto sperimentale e spontaneo del quartetto, che esplora soluzioni e
possibilità dell’interazione improvvisata tra menti illuminate. Il risultato
non può essere sempre fluido ma ci sono alcuni momenti incredibilmente
riusciti, dinamici e armonici, emozionali e potenti (lo scoppiettante inizio di
Rush e l’ottima Silver), all’interno di un percorso crossover dove le convenzioni si
smarriscono e i suoni si fanno provocazione. L’approccio free della band
consente di cogliere pulsioni che esulano da schemi, una costruzione al limite
dell’astrattismo, sospesa tra allucinazioni psichedeliche, riff di matrice hard
e fusion borderline, un flusso in cui abbandonarsi senza porsi troppe domande.
Tutto ciò porta The Stone House a non
appiattirsi su un solo genere, proprio perché suonato in presa diretta, cogliendo
spunti che sono di passaggio, fluttuanti e catturati in un secondo, quando
basta uno sguardo per capire in che direzione andare. E allora ci si ritrova
ostaggi del free jazz, dell’ambient, della psichedelia acida e del rock
progressivo, un mantra lontano dall’essere definito o categorizzato. Il disco è
da ritenersi quindi un’avventura, figlio di intuizioni e non di scrittura, un
qualcosa senza confini, che può essere apprezzato solo se ci si pone sulla
stessa lunghezza d’onda dell’ensemble. (Luigi Cattaneo)
Rush (Video)
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