Secondo disco per Erio,
cantautore che contamina elettronica distorta con pulsioni r’n’b e soul,
atmosfere notturne che rimandano a personaggi trasversali come Tricky, Lauryn
Hill, Björk e Frank Ocean. Inesse si
nutre di commistioni, un crossover interessante e che tenta di essere il più
personale possibile, già a partire dall’iniziale The biggest of hearts e prosegue con Limerance, pezzi in cui Erio si destreggia su beat ed effetti,
senza tralasciare l’utilizzo di strumenti più tradizionali come il violino di
Sofia Astarita e la chitarra di Filippo Cosci. Ritroviamo Orb e Autechre nei
tre minuti di Becalmed, arricchiti
dal singolare banjo di Federico Ciompi, mentre The glorious advance of the self-pitying queen è un ostica
performance giocata sull’interplay tra violino e sax (suonato da Fabio
Bisbocci). A glowing gash abbonda di
elettronica e forse una struttura più snella avrebbe giovato alla traccia,
prima di Brief history of se’ and fa’,
impreziosita nuovamente dalla presenza lieve ma importante della Astarita, che
sottolinea i passaggi di maggior pathos col suono peculiare del violino. Se’, I’m hungry. Those twelve days still
linger on è un breve intermezzo che anticipa To the warehouse, buonissimo momento di soul cantautorale in cui
compare anche il piano. Mutano le sensazioni in Kill it! Kill it!, anche per la presenza di Ioshi, che cura la
parte fortemente elettronica della traccia, che risulta gradevole ma non
aggiunge molto a quanto proposta sinora. Ci si avvicina al finale con Attic, altro brano dove emergono le
tante anime dell’autore, con la conclusiva nenia etnica di The Church che chiude un album arduo, in cui Erio ha messo dentro
tante idee, a volte non del tutto convincenti ma sempre curiose e studiate, una
cura per il dettaglio elemento essenziale per fare la differenza e dare un
risvolto internazionale ad un prodotto che può piacere più all’estero che nella
nostra penisola. (Luigi Cattaneo)
The biggest of hearts (Video)
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