Prolifico come pochi
autori, Mark Wingfield si è da sempre contraddistinto per lavori sperimentali,
liberi da schemi prestabiliti, sfruttando una creatività visionaria che lo ha
portato ad essere uno dei nomi di punta della Moonjune Records. Anche nel caso
di Tales from the Dreaming City il
chitarrista si è affidato alla superba sezione ritmica composta da Yaron Stavi
(basso fretless) e Asaf Sirkis (batteria), entrambi già presenti nei precedenti
The Stone House e Proof of Light (mentre in Lighthouse vi era presente il solo
Sirkis), perfetti per sostenere Wingfield, musicista che non accetta paletti
alla sua ricerca sonora. Le trame dell’iniziale The fifth window sono da applausi e le ambizioni del progetto si
palesano nella progressiva vena di I
wonder how many miles I’ve fallen, ma è tutto il disco a certificare il
coraggio dell’artista, avventuroso pioniere senza limiti. La valida The way to Hemingford grey vede la
partecipazione del bravissimo Dominique Vantomme ai synth (recuperate il suo Vegir), mentre la voglia di esplorare
prosegue con Sunlight Cafe e
l’articolato finale di The Green-faced
Timekeepers, dove il tastierista ci regala un altro bel momento ai
sintetizzatori. Tales from the Dreaming
City è l’ennesimo viaggio dove immaginazione e concretezza si incontrano,
dove le innovazioni chitarristiche sposano la causa di un prog non
convenzionale, in cui Wingfield si muove con destrezza e piglio da fuoriclasse,
conscio delle tante possibilità espressive del suo strumento, su cui lavora con
dedizione da anni. Ovviamente il trademark fusion emerge e si rinnova di
pulsioni esterne, manifesto della sua poliedricità (tanto da essere apprezzato
anche da Alex Skolnick dei Testament) e della sua voglia di allargare sempre di
più orizzonti e confini. (Luigi Cattaneo)
The fifth window (Video)
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