Da sempre inclini a
unire più generi musicali, in un connubio affascinante tra psichedelia,
progressive e pulsioni wave, i Twenty Four Hours, attivi dal lontanissimo 1982
(allora si chiamavano Onyx Marker), ancora ora, dopo quasi 40 anni, non
smettono di sperimentare e di rischiare. Questa volta pensando in grande, con
un doppio piuttosto ambizioso, Close –
Lamb – White – Walls, che ovviamente richiama, anche nel sound, Joy
Division, Genesis, Beatles e Pink Floyd, mostrando un eclettismo di fondo
consistente e la voglia, nemmeno tanto velata, di essere una realtà molteplice
nella forma e mutevole nell’anima. I pugliesi formati da Paolo Lippe (voce,
tastiere, basso e chitarra), Antonio Paparelli (chitarra), Marco Lippe
(batteria, anche della cult band Nirnaeth), Paolo Sorcinelli (basso) ed Elena
Lippe (voce, già conosciuta per l’ottimo lavoro con i Feronia), firmano un
sesto album che vede la partecipazione di personaggi come Blaine L. Reininger
dei Tuxedomoon, che con voce e violino marca in maniera straordinaria l’ambient
suggestivo di Intertwined o Andrea
Valfrè, delicato con il suo hammond in Urban
Sinkhole e Supper’s Rotten (una
suite chiaramente genesisiana). C’è anche un altro membro dei Tuxedomoon
presente, Steven Brown, che con il suo sax caratterizza, in coppia con Elena, All the world needs is love, piccola
gemma di oltre sette minuti. Non mancano affondi più duri e The Tale of Holy Frog (con un altra
grande prova di Elena) insieme a 77 sono
lì a dimostrarlo, mescolando in maniera saggia e pertinente le varie carte a
disposizione. Gran bel ritorno per il quintetto, che con Close – Lamb – White – Walls firma un disco coraggioso e audace
senza perdere di credibilità, rischio sempre dietro l’angolo quando si omaggiano
artisti del calibro di quelli citati in questo album. (Luigi Cattaneo)
All the world needs is love (Video)
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