Avevamo lasciato i Giant
the Vine nel 2019 con l’ottimo Music for empty places, un lavoro dove emergevano
le influenze di band come Mogwai, Porcupine Tree e King Crimson. Il progressive
sullo sfondo di composizioni dal sapore post rock, un’attitudine confermata
dall’ultimo A chair at the backdoor, un disco ambizioso, immaginifico,
in equilibrio perenne tra sprazzi virtuosi e sognanti melodie che mozzano il
fiato per il pathos impresso. Le trame strumentali del quartetto formato da
Antonio Lo Piparo (basso), Daniele Riotti (batteria), Fulvio Solari (chitarra)
e Fabio Vrenna (tastiere, chitarra) si esaltano in Jellyfish bowl (arricchita
dal piano di Simone Salvatori), nella malinconica Protect us from the truth (marchiata
dal duplice intervento di Ilaria Vrenna al piano e Gregory Ezechieli al sax) e
nella lunga title track (ancora con Ezechieli), magnifici esempi dell’eleganza
compositiva della band, esaltata dal contributo di Ronan Chris Murphy, producer
americano noto per le collaborazioni con artisti del calibro di King Crimson,
Ulver e Aurora. Un album maturo e di grande fascino, a tratti commovente nel
suo sviluppo creativo, perfetto per questa stagione fatta di nebbie mattutine e
paesaggi spogli, perché la musica dei Giant the Vine sa narrare a chi ascolta,
esalta il non detto attraverso un racconto fitto di suggestioni. (Luigi
Cattaneo)
Glass (Video)
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