Nati come duo country
blues, i bergamaschi Verdugo sono attualmente un trio (Claudio Albergoni alla chitarra, al pianoforte e alla voce,
Federica Lovatello alla voce e alle percussioni e Daniele Milesi alla batteria)
con parecchie sfumature folk rock, bluegrass e alternative country di matrice
americana. We are our own demon è il
loro primo full lenght e ha tutte le carte in regola per piacere ad un pubblico
trasversale e non per forza legato ad un solo genere musicale. Uncut è un ottimo inizio, più rock di
quanto ci si possa attendere, con Albergoni molto espressivo e la Lovatello
bravissima nell’inserirsi come seconda voce nel chorus. A ruota troviamo la
notevole title track, dominata da un riff potente ai limiti del grunge e da un
mood greve in cui fa la sua parte anche Milesi, puntuale metronomo del trio,
mentre più solare è Hummingbird, in
cui viene fuori maggiormente la vena folk rock del gruppo. Mark on the wall è giocata sull’interplay tra le due voci, che
tratteggiano uno scenario alt country piuttosto gradevole, Long coming home è invece una ballata dal sapore antico, un momento
posto saggiamente a metà album e che mostra un’altra anima del trio. Wedding gown prosegue sulla stessa
falsariga confermando come la band non abbia difficoltà nello scrivere ballate
legate all’immaginario stelle e strisce, una sensazione che non svanisce
nemmeno con The sun rises over all,
seppur più tirata e potente. Godspeed you
(blank old world) sorprende nuovamente per l’aggressività di cui è intrisa
e lascia intravedere anche la possibilità di nuovi orizzonti creativi da
esplorare nel futuro, perché si tratta di uno dei pezzi più interessanti del
platter. Buonissimo anche il finale di Demon
of empty streets, un indie rock ispirato e maturo, degna conclusione di un
debut assolutamente rilevante e con dei tratti distintivi chiari che mostrano
un ensemble con una proposta affascinante e brillante. (Luigi Cattaneo)
Hummingbird (Video)
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