Originario di Gragnano
(Napoli), Enzo Donnarumma ha sviluppato la sua passione per la musica
conseguendo il diploma in chitarra classica e suonando con artisti
internazionali come Shadow Gallery, Orphaned Land, Ralf Scheepers (Gamma Ray, Primal
Fear), Mark Zonder (Fates Warning, Warlord, Ten) e Marty Friedman (Megadeth,
Cacophony). Non solo di heavy si nutre però il suo background, in quanto il
napoletano non disdegna il gospel, il rock progressivo, la classica e le
soundtrack, tutte influenze che ritroviamo in questo In the name of the son, disco che risente della sua passione per la
teologia Cristiana e che lo stesso musicista descrive come Christian Symphonic
Metal. Dopo il debut In the name of the
father del 2015, Enzo conferma una serie nutrita di personalità a dare
forma e vita alle tante idee messe sul piatto, che oscillano dalla Rock Opera
al progressive, passando per sonorità da musical, gospel e hard rock. Oltre al
mastermind impegnato alla voce e alla chitarra troviamo il Weza Moza Gospel
Choir, una serie di voci importantissime come Brian Ashland e Gary Wehrkamp
degli Shadow Gallery, Amulyn e Derek Corzine dei Whisper from heaven, Kobi
Farhi degli Orphaned Land, Tina Gagliotta dei Poemisia, Nicholas Lepstos dei
Warlord e degli Arrayan Path, il già citato Scheepers e il growl di David Brown
dei Metatrone, ma anche Alessandro Battini dei Dark Horizon e dei Ghost City
alle tastiere, Zonder alla batteria, Giacomo Manfredi degli S 91 al basso e
Alexein Megas alla chitarra. Tutti al servizio di un lavoro sicuramente
interessante, in cui ogni elemento si è calato perfettamente nel contesto
testual-musicale di Enzo, che presenta trame più mature rispetto al precedente
disco e forse una maggiore consapevolezza. Le orchestrazioni divengono la
costante e il collante di un percorso dove il prog è uno degli elementi
essenziali, con gli strumenti classici del rock che incontrano quelli di
matrice mediorientale e del nord africa, a supporto di tematiche bibliche
trattate con grande rispetto e anche apertura per concetti universali. Non
mancano momenti più pesanti, come ad esempio i nove minuti di The trial, dove il progressive incontra
il death metal e il gospel ma in generale Donnarumma ha privilegiato un
approccio polifonico anche in termini di scelte musicali, non solo esecutive.
Ovviamente in un album del genere la cura per gli arrangiamenti diviene
indispensabile per sottolineare lo sviluppo dei temi all’interno del racconto e
il campano si dimostra capace anche in questo, firmando un platter scritto e
suonato molto bene e che potrebbe forse incuriosire anche i proggers di vecchia
data che hanno già incontrato certe tematiche in album dei ’70 come Fede Speranza Carità dei J.E.T. e Passio Secundum Mattheum dei Latte e Miele
o nel soft rock dalle forti ispirazioni religiose nato a seguito delle Messe
Beat dei Messaggio 73 e Quel giorno di uve rosse. (Luigi Cattaneo)
The trial (Video)
Nessun commento:
Posta un commento