Ivano Fossati, da
sempre inserito nella corrente progressiva più per il suo essere stato il primo
cantante dei Delirium, che per reali meriti prog della sua carriera da solista,
realizzò, dopo aver abbandonato il gruppo genovese, Il
grande mare che avremmo traversato nel 1973 e Poco prima dell’aurora in coppia con Oscar Prudente l’anno
successivo. Ma andiamo con ordine. Il
grande mare che avremmo traversato, il primo da solista, è uno di quei
lavori che può causare diatribe tra chi lo considera un ottimo punto di
partenza e chi lo vede come un disco ancora poco personale. La verità, come
spesso accade, potrebbe stare nel mezzo. Perché se è vero che nel complesso
appare un po’ acerbo, è anche vero che non mancano momenti affascinanti, degni
di nota e sopra la media. D’altronde Fossati prosegue nella direzione
precedente al suo esordio, quel Dolce
Acqua a nome Delirium che era pregno di prog folk acustico, che qui però
viene innervato da forti influenze jazz, soprattutto quello brasiliano di
Deodato (la strumentale e lieve Jangada
ma anche Canto nuovo), con il flauto,
la chitarra classica e il Fender Rhodes assoluti protagonisti, una sezione
d’archi di 18 elementi, un ottetto di fiati e l’apporto di Marco Ratti al
contrabbasso (elemento di spicco del jazz italiano). Il mare, come dice il
titolo, è l’elemento cardine e continuo a cui rivolgersi, non solo quello della
sua Genova, ma anche quello del Brasile (ne è un esempio Da Recife a Fortaleza). La title track (divisa in tre parti) e la
stupenda All’ultimo amico sono gli
attimi in cui emerge proprio di più quel suo passato da poco abbandonato e sono
tra i brani migliori della sua iniziale carriera in solitaria. Pur non convincendo
nella sua totalità, Il grande mare che
avremmo traversato è quindi un album dove affiorano le capacità
dell’artista di creare piccoli bozzetti evocativi e malinconici, dove
traspaiono le varie anime musicali del compositore, che poi si evolveranno in
maniera più organica negli anni a venire, che consacreranno Fossati come uno
degli autori più intelligenti del panorama nostrano. (Luigi Cattaneo)
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