sabato 6 giugno 2020

ORNE, The tree of life (2013)


Nati dai Reverend Bizarre, quotato gruppo della scena doom, gli Orne sono stati da subito alfieri di un ispirato dark prog infarcito di folk, con uno sguardo al passato che si traduce in dischi incisivi e pieni di fascino vintage. The tree of life del 2013 si apre con Angel eyes, prima perla del lavoro, prima di Temple of the worm, che mette bene in evidenza la capacità della band di creare scenari languidi, ricchi di un pathos fortemente malinconico, in cui è la chitarra di Kimi Karki a tratteggiare con cura tali atmosfere, soprattutto nelle parti più lente. Quando invece gli Orne si spingono su lidi progressive c’è la mano di Pirkka Leino, con il suo hammond, a guidare il gruppo e di questo ne è grande esempio il bellissimo finale strumentale. La seguente The return of the sorcerer mantiene intatto il carattere evocativo, quasi spirituale del complesso, con suoni oscuri e tematiche che seguono di pari passo lo spartito. A differenza di Temple of the worm qui la band si esprime attraverso una spettrale ballata, dove solo Karki rompe la linea guida della composizione con un solo ricco di tensione emotiva. Di ottima fattura anche Don’t look now, che oscilla tra momenti strumentali corali che denotano un amalgama raggiunta appieno e parti cantate con trasporto. Il momento migliore appare però il finale in cui gli Orne danno libero sfogo alla fantasia e si avventurano con l’immancabile hammond in territori prog molto settantiani. C’è un carattere fortemente acustico nei primi minuti di Beloved dead, almeno sino al riff all’unisono di chitarra e hammond, che apre la luce su un altro aspetto del gruppo che sin qui era emerso meno, ossia l’amore per sonorità hard, che coinvolgono anche il cantato di Sami Albert Hynninen, che si fa decisamente più aggressivo. Leggermente meno introspettiva è I was made upon waters, che ha al suo interno un po’ tutti i cromosomi musicali dei finlandesi e in particolare qui viene curato l’aspetto melodico, anche attraverso dei passaggi vicini al folk, oltre a quello corale che riesce ad esaltare ulteriormente le capacità di songwriting di Karki. Si sfuma nell’inquietudine di Sephira, omaggio al dark progressivo e all’hard rock, in cui il breve testo pronunciato con voce sporca da Hynninen lascia campo al sax di Lea Tommola ben supportato da una band davvero compatta. (Luigi Cattaneo)

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