La Black Widow è sempre in
prima linea quando si tratta di dar spazio a giovani band innamorate di quel
progressive tanto in voga negli anni ’70. Ne sono esempio lampante le atmosfere
vintage del Tempio delle Clessidre o del Cerchio d’Oro, realtà attuali ma con i
piedi piantati a 40 anni fa. Non che questo sia un male, soprattutto se si
riesce a dare un senso a questa voglia di proporre materiale che per struttura
e fisionomia potrebbe essere uscito nel 1974. Prova concreta e conferma di
questo è l’esordio In Hoc Signo dei
romani Ingranaggi della Valle. Poco male se tra le trame dell’album non si
percepiscono novità o particolari che possano far pensare a sviluppi futuri
lontani da queste sicure lande settantiane. Quindi niente avanguardia o rischi
di sorta. Qui va di scena un sentito omaggio a tutto ciò che è stato ma che a
guardare bene, ancora è, viste le tante formazioni italiane e non che si stanno
proponendo da diversi anni. Un elaborato ed epico concept sulla prima crociata,
perfettamente in linea con le istanze del progressive italiano anni ’70, che
farà la felicità di tutti coloro che ancora cercano nel genere soluzioni
sinfoniche e articolate (siamo dalle parti del Banco del Mutuo Soccorso e del
Museo Rosembach giusto per citarne un paio). Il protagonista della vicenda è
Boemondo di Taranto, principe e comandante, e la narrazione segue il percorso
da lui intrapreso durante la prima crociata. Il concept, oltre agli sviluppi
sinfonici già citati, ha delle piacevoli intuizioni jazz rock che donano
maggior groove ai vari momenti della storia. Si denotano belle capacità
tecniche ma anche di scrittura, con le parti di tastiera di Mattia Liberati che
richiamano alla mente i grandi maestri del passato, soprattutto per i suoni di
hammond, mellotron e minimoog. Non sono però da meno Flavio Gonnellini alla
chitarra, Igor Leone alla voce, Shanti Colucci alla batteria e il grande
apporto al violino di Marco Gennarini, veramente l’elemento in più della band
(diversi invece i bassisti utilizzati nel corso del disco). Molto buona la
prima parte del lavoro, dove troviamo l’iniziale Cavalcata e Via Egnatia,
ma spiccano anche le notevoli costruzioni strumentali di Fuga da Amman, in cui il gruppo mostra classe e padronanza e la conclusiva
Finale che vede la presenza di un
sempre straordinario David Jackson al sax e al flauto. Non è l’unico ospite
presente, perché in Jangala Mem e Il Vento del Tempo, altri due brani ben
congegnati, troviamo Mattias Olsson degli Anglagard alla batteria nel primo
episodio e ai synth nel secondo. Gli IDV hanno creato un’opera prima ispirata e
coinvolgente e seppur gli stereotipi del genere non mancano (soprattutto una
certa prolissità che in alcuni pezzi poteva forse essere evitata), il risultato
è assolutamente positivo e lascia ben sperare per un futuro ancora più
roseo. (Luigi Cattaneo)
Fuga da Amman (Video)
OTTIMA RECE
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