A distanza di
ben 38 anni (in ambito musicale un’eternità!) Paolo Siani, batterista che ha
contribuito a costruire la storia del Beat genovese e del progressive italiano
tra i ’60 e i ’70, decide di ridare lustro alla sigla Nuova Idea e lo fa
proponendo un opera corale, Castles,
wings, stories and dreams, con tantissimi musicisti davvero di alto
livello, alcuni dei quali hanno condiviso con lui anni importanti del Rock
italico. Mi preme sottolineare che non si tratta di un prodotto rivolto ai
nostalgici, non guarda solo al passato (per quanto luminoso) ma ha uno sguardo
proiettato dritto sul presente e il sound moderno che si fonde con accenni di
progressive seventies è figlio certamente di alcune azzeccate collaborazioni
come quella con Roberto Tiranti dei
Labyrinth e Ottavia Bruno dei Blues
Assault.
Nell’iniziale Un dono la voce recitante di Vittorio
Pedrali, accompagnato dagli effetti elettronici di Alessandro Siani, ci conduce
al primo vero brano dell’album, Wizard
intro, uno strumentale con Marco Zoccheddu alla chitarra (membro dei Nuova Idea nel disco del 1971 In the
beginning) e Guido Guglielminetti al
basso (attualmente suona con Francesco De Gregori). Questa introduzione ci
riporta ai fasti degli anni ’70, in piena era progressive, con Zoccheddu che, sostenuto ottimamente dalla
sezione ritmica, mostra tutta la
verve che lo ha sempre contraddistinto. La terza traccia, Madre Africa, è uno splendido affresco di progressive dai tratti
hard di quasi 8 minuti. Zoccheddu si
esprime in un riff cupo e granitico sul quale interviene in maniera egregia Joe
Vescovi (elemento fondatore dei The
Trip) con il suo Hammond e sentirli duettare è un vero piacere. Quando irrompe
dopo quasi 3 minuti il canto di Tiranti,
che viene prontamente doppiato dalla voce sopranile di Nadia Engheben avviene il matrimonio tra suono
settantiano e quello più moderno. La voce dei Labyrinth (che in passato è stato anche membro dei New Trolls) non appare fuori luogo e dona al brano
quella comunicabilità che talvolta mancava ai dischi di settore. A metà brano
compare pure un bel solo di flauto ad opera di Mauro Pagani che impreziosisce, manco a dirlo, ancora di più il brano e subito
dopo quello di uno Zoccheddu davvero ispirato. Brano davvero
avvolgente nel suo essere complesso ma anche molto melodico. Passata la
tempesta Siani piazza una ballata piuttosto
malinconica e di facile presa, Questa
penombra è lenta con Ottavia Bruno alla
voce e Giacomo Caiolo alla chitarra
acustica. Il brano è ben suonato, ha un ritornello che ti entra in testa sin
dal primo ascolto (la parte cantata da un ottima Bruno) ma sconta forse
l’eccessiva lunghezza di quasi 7 minuti. Cambia ancora umore la successiva Chimera, segno di un disco eterogeneo e
libero da gabbie precostruite. Questo strumentale nasce dall’unione tra due
mondi sonori, l’elettronica e il jazz e la formazione muta nuovamente con
l’entrata in scena di Alessandro Siani a curare le parti elettroniche, Gianni
Alberti al sax, Franco Testa (quotato session) al basso e Zoccheddu al piano (abile anche in questo caso).
Si tratta di un momento molto differente rispetto agli altri presenti
sull’album, una sorta di esperimento, dove, su una base elettronica, i
musicisti si propongono a turno eseguendo un solo con il loro strumento. Si
arriva così al brano più progressivo del lavoro, la suite The Game, più di 10 minuti in cui salgono in cattedra Ricky Belloni (chitarrista presente in Clowns della Nuova Idea), Giorgio Usai (all’hammond) e Tiranti, che offre la solita prestazione fatta
di pathos e tecnica. Quando il pezzo arriva nella sua fase strumentale, con Siani abilissimo nell’interplay con i suoi
vecchi compagni, sembra davvero che il tempo si sia fermato e il ricordo di Clowns è più vivo che mai. Merita una
citazione anche Carlo Cantini che al
violino disegna un momento in pieno stile progressivo davvero validissimo e ciò
contribuisce a rendere il brano il più interessante tra quelli presenti. Segue
un’altra composizione con protagonista Tiranti, la prima cantata in inglese, Cluster Bombs, che ha degli spunti hard
al suo interno. Bravissimo Zoccheddu nel
destreggiarsi tra chitarra e piano elettrico in un brano tanto irrequieto
quanto delicato per il tema trattato, ossia quello delle bombe a grappolo. La
parte centrale, atmosferica e inquietante, non fa altro che innalzare
ulteriormente il climax già notevole di per sé, che poi esplode del tutto con
il ritorno in scena di un vocalist davvero in forma. This open show è una ballata struggente e delicata dove i
protagonisti sono Alberto Buttarelli, bravo sia come cantante che negli
interventi al flauto, Diego e Fabio
Gordi oltre che Daniele Pagano al pianoforte e Giuliano Papa al violoncello. C’era una volta si presenta come
una sorta di outro e chiude il disco dopo quasi 50 minuti di buone vibrazioni.
Il lavoro direi
che non tradisce le aspettative di qualunque fan del rock progressivo e credo
possa interessare anche agli ascoltatori di sonorità più dure. Ci sono pochi
cali e in generale tutto l’album si muove su coordinate più che buone. Speriamo
solo di non dover attendere altri 38 anni per avere notizie di Siani e della Nuova
Idea…(Luigi Cattaneo)
Cluster Bombs (Official Video)
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