mercoledì 7 febbraio 2018

RAINBOW BRIDGE, Dirty Sunday (2017)


Attivi dal 2006 i Rainbow Bridge portano avanti con orgoglio lo spirito e l’attitudine di Jimi Hendrix, lasciandosi guidare dal chitarrista mancino in territori tanto blues quanto intrisi di rock psichedelico. Non solo tributo ma anche libera interpretazione e improvvisazione di quei suoni immortali, il trio di Barletta (Giuseppe Piazzolla alla chitarra, Fabio Chiarazzo al basso e Paolo Ormas alla batteria) dopo anni di attività e centinai di concerti, decide di chiudersi in studio (per l’esattezza lunedì 23 ottobre 2016) e di jammare senza sosta. Ne viene fuori Dirty Sunday, cinque tracce per un totale di 35 minuti di desert rock, heavy blues e psichedelia, un concentrato di Experience hendrixiana, Cream ed Eric Sardinas, un trip strumentale registrato live e senza overdubs che ho amato sin dalle prime note, quelle di Dusty, in cui c’è già tutto il mondo del gruppo, tra asperità stoner, giri blues, ritmiche decise e soli di chitarra sovraccarichi di elettricità. La title track conferma tutte le sensazioni, un cavallo in corsa a briglie sciolte, una jam furibonda in cui si respira l’aria di fine anni ’60, quella a cavallo tra Electric ladyland e Band of Gypsys (per il sottoscritto quest’ultimo è uno dei più grandi trii della storia della musica). Maharishi suite parte lenta, con Piazzolla in prima linea sostenuto dal duo ritmico, per poi esplodere con forza per quasi dieci minuti lisergici, in cui il blues e la psichedelia vanno a braccetto senza alcun freno. Hot wheels è il brano meno dilatato del platter ma non per questo inferiore agli altri, anzi, è un rock blues tirato e potente, che vive di break più morbidi in cui il trio mostra quanto sono bravi anche quando c’è da decelerare. Il finale di Rainbow bridge compatta le escursioni hendrixiane con il desert rock e chiude un primo lavoro fantasioso e assolutamente riuscito. (Luigi Cattaneo)
 
Dirty Sunday (Full ep)
 

Nessun commento:

Posta un commento