Esiste un postulato da cui non è possibile prescindere quando si analizza un lavoro degli Aries ed è bene sottolinearlo. Gli Aries non sono una band di rock progressivo come potrebbe far pensare la presenza del factotum Fabio Zuffanti, membro di La Maschera di Cera, Finisterre e Hostsonaten (tra gli altri). Quindi chi cerca fughe strumentali o suite interminabili rimarrà fortemente deluso. Chi invece accoglie sempre con curiosità l’ecclettismo multiforme di Zuffanti e apprezza le sue escursioni con suoni differenti dal progressive proverà piacere nell’ascoltare le melodie pop di cui è pieno Double Reign. Qui Zuffanti sceglie di farsi accompagnare da parecchi ottimi musicisti tra cui Davide Guidoni (batterista dei Taproban) e Vittorio De Scalzi (New Trolls) oltre che dalla bravissima Simona Angioloni. Sin dall’iniziale The return ci si accorge di trovarci in un campo che non è propriamente progressivo, anche se il suono sempre affascinante del Moog ci porta per mano all’ossessivo loop elettronico che accompagna la Angioloni nel canto. Drammaticità dal forte sapore gotico è l’universo sonoro in cui si muove il brano che ha un chorus davvero molto azzeccato e un momento violinistico pieno di pathos e vicino all’attitudine dell’illuminata 4 AD, etichetta inglese specializzata in suoni dark. Ballata dai toni soffusi è Alone, dove l’elettronica minimale rimane sempre protagonista e disegna scenari che rimandano tanto a Bjork quanto alla psichedelia, soprattutto nella parte centrale della composizione. Alone però non convince pienamente per la mancanza di un cambio di passo, di una variazione significativa e risulta per questo senza troppo mordente. Ma già la successiva Deep inside risulta maggiormente ritmata e ballabile, perfetta dark song, molto immediata e con un chorus memorabile che è impossibile non ricordare sin dal primo ascolto, anche perché viene proposto praticamente già ad inizio brano e più volte all’interno dello stesso. Direi che l’obiettivo di creare un percorso musicale piuttosto lontano dal progressive e magari più adatto ad un grande circuito (che sia la radio o qualche serata dark nei club) si esprime in pieno attraverso pezzi come questo. Si torna su toni più delicati e riflessivi con The house is burning, introdotta da uno struggente violino che sarà mantenuto su queste drammatiche coordinate per tutta la durata del brano, vede la Angioloni mostrare tutte le sue capacità interpretative con classe, tecnica e pathos. La sua voce ricorda quella di Elisa e risulta perfetta per l’aspetto fortemente melodico e darkeggiante che contraddistingue tutto il progetto Aries. Con Voices si sentono echi di Cocteau Twins (nella parte iniziale) e ancora una volta il violino disegna scenari introspettivi che esplodono nell’ennesimo chorus molto riuscito e radiofonico (e non vuole essere una critica!). Risulta davvero ottima la parte finale con un bel solo di violino che completa in maniera egregia la composizione. Seguono poi 2 momenti piuttosto brevi, See through me e A dream within a dream, che non aggiungono molto al percorso sin qui svolto. La prima lenta e inquietante ricorda la New wave ottantiana più eterea, la seconda, strumentale e pensata per il quartetto d’archi a disposizione, è un intermezzo che apre a quello che sarà uno dei pezzi più riusciti del disco, ossia Space. Qui i due si esprimono con un sound ancora estremamente ricco di melodia e con un chorus parecchio orecchiabile che fa emergere umori cari a certa darkwave di stampo nordico e il nome che più mi hanno ricordato è quello dei L’ame Immortelle maggiormente orchestrali e meno aggressivi. Il flauto di Vittorio De Scalzi segna l’inizio di I will sleep among the waves, su cui si innalza dolce il canto della Angioloni e Zuffanti qui è bravissimo nel combinare all’interno della struttura i Portishead con il progressive, anche se velato e dettato dal lavoro del sempre ottimo De Scalzi. La forza ritmica di matrice ottantiana con richiami alla New Wave di Siouxsie and the Banshees e Dead can Dance segnano Falling down, che ben rappresenta il lato più oscuro della musica targata Aries e profuma di Oriente nella seconda parte creando un melting pot sonoro ben gestito dal duo. Eccessivamente pop-oriented The moon rises again, che pur essendo gradevole, tende a stancare con il passare degli ascolti. Chiude Flow, unico dei presenti a superare i 7 minuti di durata e davvero interessante nel suo incedere fortemente oscuro e dai tratti ossessivi. La Angioloni appare intensa ed ispirata e la seconda metà viene segnata dall’avvento del quartetto d’archi che con una cavalcata strumentale malinconica e suggestiva suggella il finale del lavoro. Double Reign è un album che porta Zuffanti ad allontanarsi dal rock progressivo (almeno in questa incarnazione del suo essere) ma, pur con alcuni momenti di stanca dettati da una scrittura in alcuni casi troppo lineare e prevedibile, risulta gradevole e si lascia ascoltare senza fatica dall’inizio alla fine. (Luigi Cattaneo)
Deep Inside (Video)
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