lunedì 4 febbraio 2013

LOWER DENS, Twin Hand Movement (2010)

Stupisce l’esordio dei Lower Dens. E stupisce fin dall’inizio, quando tra i credits leggi il nome di Jana Hunter quale autrice di musiche e testi. Non preoccupatevi se il nome non vi dice nulla. O quasi. Qualcuno se la ricorderà come la protetta di Devendra Banhart, nonché la primissima musicista a essere pubblicata sull’etichetta dello stesso, la Gnomonsong. Era musica colma di freakerie folk, sciamaniche e ancestrali cantilene che odoravano di boschi innevati, di solitudine, di pace interiore.
L’album di debutto dei Lower Dens, anch’esso pubblicato su Gnomonsong, non potrebbe essere più distante da quel tipo di cose. Il gruppo di Baltimora rigetta gli arrangiamenti acustici che erano stati caratteristica portante dei due LP di Jana Hunter in favore di una musica splendidamente ed esageratamente elettrica, vibrante, satura, dove difficilmente si scorgono cali di tensione. E se forse sarebbe facile ridurre tutto ad alcuni riferimenti al post-punk e alla darkwave anni ottanta (un certo gusto per il catacombale che farebbe pensare a Joy Division e a Bauhaus, certe progressioni di accordi che ricondurrebbero ai primi Cure di Faith), il tutto viene proiettato nell’ottica di una sensibilità moderna e personalissima che rende sfocato e imprendibile il suono della band: l’interplay schizofrenico tra le due chitarre a citare certo indie rock statunitense anni ’90 in A dog’s dick, la rarefazione del suono tutta di marca post-punk britannico in Plastic & powder, quasi a creare un ponte con i Cocteau Twins più oscuri; altrove, le propulsioni delle percussioni assumono le sembianze del motorik teutonico in stile Neu, come nel piccolo capolavoro Tea lights (forse il picco del disco), dove le chitarre diventano magnificamente luminose ad assecondare un trip lisergico della durata di quattro minuti e quaranta secondi. E in fondo è l’atmosfera che predomina lungo tutta la durata e allo stesso tempo il punto di forza dell’album, un qualcosa di simile ai Galaxie 500 (forse il riferimento principale, alla faccia di chi li considerava una band di revival del dark punk anni ’80) e un suono che come detto sa essere evanescente e distante ma sempre costantemente caratterizzato da un’ambigua tensione sottopelle, per una musica satura ma allo stesso tempo dall’andamento drogato e narcolettico, imprendibile e concisa in uno strumentale come Holy water, ma anche capace di aprirsi nella splendida ed epica armonia di I get nervous. Non si può davvero prevedere che strada prenderanno i Lower Dens, ma Twin hand movement vive di un equilibrio tutto suo che ha un qualcosa di magico, tenuto a galla da questi undici inafferrabili e indecifrabili pezzi. (Paolo Cattaneo) 

Tea Lights (Video)




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