Claudio Causin è stato ad inizio anni ’80 il leader di una sconosciuta band veneta, i Forzanove, che riuscirono ad entrare in sala d’incisione e a pubblicare l’album Autoanalisi. Era il 1981. Claudio è stato così gentile da aprirci le porte della sua casa di Eraclea e a raccontarci di un periodo in cui le difficoltà per i gruppi prog erano doppie rispetto a qualche anno prima. Questi proposti sono i passi salienti dell’incontro…
Claudio, tu con la tua band, i Forzanove, siete riusciti a pubblicare un album, Autoanalisi, nel 1981. Che ricordi hai di quel periodo e delle registrazioni del disco?
Ricordo che registrammo il disco in uno studio, il Regson di Milano, che si trovava sul Naviglio e che era davvero grande e difatti veniva utilizzato da artisti come Celentano e Vasco Rossi. Noi riuscimmo a registrare e ad effettuare il missaggio in tre giorni con il fonico Paolo Bocchi. All’epoca avere un contratto discografico e registrare in uno studio ti faceva sentire già arrivato perché non esistevano le possibilità tecniche che esistono adesso, come la registrazione multi traccia portatile o il computer che ti permettono di fare il grosso del lavoro prima di entrare in studio. Inoltre registrare in uno studio che aveva a disposizione uno studio con 16 o 24 piste e un buon banco mixer costava davvero molto. Anche per questo registrammo il tutto in soli 3 giorni.
Come arrivaste a registrare in uno studio di Milano?
Registrammo un provino in presa diretta in un cinema di Eraclea, che adesso non esiste più. Eravamo anche fortunati perché avevamo un nostro impianto e registrammo il tutto su una pista sola, voce, chitarra, basso, batteria e tastiere. Dopo il provino trovammo un produttore, il cui cognome era Batacchi, che lavorava a Milano e che ci procurò un contratto con una casa discografica. Ci aveva sentito suonare ad Eraclea e ci propose subito di incidere un provino da sottoporre ad un’etichetta di Milano.
Il disco allora non venne autoprodotto…
No. La casa discografica era di Milano, si trovava in piazza San Babila e si chiamava Top Records ma fu il produttore che ci finanziò il disco. La Top Records non interferì mai nel nostro lavoro in studio. Proprio come il provino di cui ti parlavo prima registrammo tutto live, in presa diretta, anche per avere un suono più rock.
Quindi avete registrato il disco interamente in presa diretta?
Solo io avevo fatto due sovraincisioni con la chitarra, anche perché in soli tre giorni dovevamo per forza ridurre le operazioni. Registrammo live con un 24 piste.
Pur non essendo un disco propriamente progressivo è palese l’amore verso sonorità che nel 1981 apparivano già superate…
Io ero il compositore di tutta la musica dei Forzanove e adoravo la P.F.M. e il prog in generale ma non volevo creare qualcosa di totalmente canonico e quindi orientai il suono verso un rock che avesse reminiscenze progressive ma che riuscisse contemporaneamente a distaccarsene.
Avevate la possibilità di esibirvi dal vivo?
Sì, anche perché avevamo un nostro impianto e in più il produttore ci aveva fornito di luci ed effetti che creavano una certa atmosfera. Purtroppo però le spese erano altissime e questo era un problema per tantissimi gruppi. Anche per gruppi celebri e più importanti dei Forzanove.
Ma erano presenti dei locali a Mestre e dintorni che supportavano l’attività live delle band della zona in quel periodo? Riusciste a pubblicizzare il disco almeno localmente?
Non molto. Si suonava all’aperto in estate ma avevamo una strumentazione molto ingombrante che ci limitava parecchio nei movimenti. Solo io avevo due Marshall! Tra le esibizioni più interessanti ricordo quando aprimmo un concerto per i Matia Bazar a Parma nell’estate del 1981. Erano gli anni della Ruggiero e c’era anche Giancarlo Golzi, ex del Museo Rosenbach. Pur essendo molto famosi ricordo che furono davvero gentili. Noi eravamo un po’ intimoriti ma furono proprio loro a metterci a nostro agio. Ricordo che fu il loro chitarrista, Carlo Marrale ex J.E.T., a venire da me a chiedermi informazioni circa alcuni suoni che avevo utilizzato durante il concerto. Ad Asti aprimmo lo show di Marco Ferradini che di lì a poco sarebbe diventato famoso con il brano Teorema, a Montecatini suonammo in una serata dove si esibirono anche Little Tony e Franco Simone. Eravamo una mosca bianca all’interno di certi festival ma per fare pubblicità al gruppo si accettavano queste opportunità. Un’altra bella esperienza fu suonare live e in diretta per una televisione di Viareggio. Io personalmente ho anche collaborato con Pippo Trentin, sassofonista dei Duello Madre.
I vostri concerti erano organizzati dalla Top Records?
Alcuni, ma la maggior parte dei concerti erano organizzati da noi o dal nostro produttore. La Top Records fece poco per promuovere il gruppo.
Non avete fatto un tour per promuovere il disco?
Assolutamente no. Prendavamo i concerti che ci capitavano e questo creava dei problemi perché tutti lavoravano ovviamente e non vivevamo di musica.
Riuscivate a vendere qualche copia del disco ai concerti?
Qualche copia ai concerti si vendeva, nei negozi non lo so, anche perché non ci siamo mai preoccupati di questo.
Sai se è mai stato stampato in cd?
Non mi risulta, credo che si possa trovare il 33 giri in qualche fiera o negozio dell’usato.
Quanto è durata con i Forzanove e chi erano i membri della band?
Ci siamo formati nel 1979 e siamo andati avanti fino al 1982. Io, Claudio Causin, suonavo la chitarra e scrivevo le musiche, Piero Bianco suonava il basso, cantava e scriveva i testi, Mauro Pascal si occupava delle tastiere e Maurizio Bovo suonava la batteria.
Una volta finita l’esperienza con i Forzanove, cosa hai fatto?
Successivamente formai una band che univa dance e rock, gli Stage. Eravamo insoliti per il periodo ed utilizzavamo solo chitarra e tastiere, oltre che un cantante. Su ritmiche tipicamente dance io creavo con la chitarra momenti di puro rock. Con gli Stage non si facevano concerti perché era una produzione pensata solo per le radio e per vendere i 45 giri. Avevamo fatto anche un video registrato a Parigi e in Francia vendemmo migliaia di copie. Ricordo che i 45 giri di Voodoo Dance e Oceano of Crime furono distribuiti anche in America Latina e in Germania. Tuttora in paesi come la Repubblica Ceca e la Polonia si vendono compilation dove appaiono quei brani.
Quanto è durata questa seconda esperienza discografica?
Dal 1983 al 1986.
Tornando al periodo maggiormente legato al progressive, gli anni ’70 che tu hai avuto la fortuna di vivere, ricordi come voi giovani percepivate quel movimento e quella particolare atmosfera che ha contraddistinto l’intera decade?
Proprio come dici tu, è stata una vera fortuna. Era un periodo creativo dove nasceva musica ovunque, spesso di nicchia ma che recepivi quotidianamente e con grande “urgenza” di ascoltare. Io adoravo la P.F.M., i Colosseum, i Patto, i Van Der Graaf Generator, ma potrei citartene parecchie di band. La grande differenza con il presente forse è data dal fatto che i giovani non solo ascoltavano ma anche suonavano quella musica che tanto piaceva e soprattutto i gruppi proponevano cose proprie, novità, non si facevano solo cover. A quell’epoca dovevi suonare cose tue e quindi assimilavi ciò che sentivi. Gli anni ’70 sono stati qualcosa di irripetibile e noi ascoltatori e musicisti eravamo come spugne che assorbivano tutte le novità del periodo.
Avevate il sentore di vivere anni importanti della musica italiana? Pensavate che quel periodo così florido e ricco di rock progressivo potesse essere qualcosa di intramontabile?
Guarda, eri talmente preso che vivevi appieno l’evoluzione, qualcosa che cambiava e le novità erano talmente tante che solo successivamente ci siamo accorti (almeno così fu per me) di trovarci con qualcosa di così originale. Non pensavo a quello che poteva succedere dopo, non pensavo di vivere un momento storico. La mia fortuna è stata di vivere gli anni ’70 non solo da ascoltatore ma anche da musicista. Credevo solo che la musica sarebbe progredita come stava facendo in quel periodo.
Ti ricordi di qualche band di Mestre e dintorni che come voi suonava prog ad inizio anni’80?
No, anche perché gli anni più fecondi erano passati ormai.
Quali erano i locali che negli anni ’70 davano più spazio al progressive?
Più che nei locali si suonava molto nei festival all’aperto anche se c’era un teatro, l’Astra di San Donà, dove io ho visto la P.F.M., Gli Alluminogeni, i Perigeo, gli Osanna con il loro spettacolo stupefacente. Anche il teatro San Marco di Mestre, che adesso è un cinema, dava spazio al prog e li andai a sentire i Gong, che erano incredibili.
Da ascoltatore come hai vissuto il cambiamento sonoro di alcune band come Banco del Mutuo Soccorso, P.F.M., Le Orme che continuarono a scrivere musica negli anni ’80 ma in maniera piuttosto differente rispetto alla decade precedente?
Credo che furono “costretti” dal mercato discografico di allora, per sopravvivere e continuare a suonare. Tutto qua.
Secondo te questo nuovo interesse verso il genere a cosa è dovuto?
La musica si ripresenta sempre, in maniera diversa ma vive fasi cicliche. Le band sia quelle nuove che quelle di prima generazione cercano di ricreare atmosfere che ormai non esistono più. Come c’è un ritorno di certo prog ci sarà un ritorno del grunge alla Pearl Jam e così via, almeno secondo il mio punto di vista.
Un’ultima curiosità: hai più pensato di rifondare i Forzanove?
No, assolutamente no. Credo che non ne verrebbe fuori nulla di buono!
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