Ecco che finalmente il 2013 dà alla luce quello che potrebbe essere l'album progressive (e non solo) dell'anno. Questa band inglese, attiva dal 2007 e con due splendidi album alle spalle (Aquarium del 2010 e Visions del 2011) ha composto la sua terza e più ambiziosa opera dal titolo The Mountain, album ricco di influenze e di suoni amalgamati alla perfezione, dove su tutto spicca l'attenzione per il progressive rock degli anni d'oro, ma con un occhio ben saldo sui nuovi suoni (il cd è uscito per la Inside Out, nota casa discografica che opera soprattutto in ambito prog metal). I cosiddetti “puristi” forse avvertiranno già un senso di rifiuto, visto il loro notorio atteggiamento pregiudiziale verso le band che contaminano il loro sound con inflessioni provenienti dal metal o dal rock più possente, tuttavia mai come in questo caso si commetterebbe un fatale errore: di certo una rilevante componente hard fa parte dello stile degli Haken, ma se ascoltiamo attentamente le complesse partiture strumentali, le armonie vocali ed in generale i molteplici e vorticosi dialoghi tra gli strumenti, non possiamo non notare la pesante influenza di gruppi storici del progressive anni 70 (in particolar modo Gentle Giant, King Crimson e Yes). Una cosa è assodata: gli Haken non sono cloni dei Dream Theater ma riescono a percorrere una strada propria nell'inflazionato panorama del prog metal, proponendo forse l'album più equilibrato e più variegato della loro breve discografia. Ogni pezzo è una piccola gemma e appare gioco inutile sottolineare le incredibili doti tecniche dei singoli membri. Ma andiamo nel dettaglio: il cd si apre con The Path, intro caratterizzato da un atmosfera rarefatta di piano e archi dove svolazza leggera la voce solista di Ross Jennings, supportata da un'armonia quasi corale (peraltro la caratteristica più evidente di tutto il cd è l'enorme lavoro di arrangiamenti vocali e sovrapposizioni di più voci) che sfocia nel secondo pezzo Atlas Stone, un maestoso affresco di suoni che solo inizialmente portano alla memoria i grandi Symphony X. I cori micidiali, i tempi dispari e il piano fender nella parte centrale del brano ci fanno capire che questi superbi musicisti hanno ben digerito la lezione prog degli ultimi 35-40 anni e con la musica giocano come vogliono. Cockroach King, il mio pezzo preferito, è uno “sfacciato” omaggio ai Gentle Giant di Knot (nella loro esibizione a Veruno 2013 hanno dedicato il pezzo proprio a questi ultimi): la chitarra ad otto corde di Charlie Griffiths ( sempre ottimo sia in fase ritmica che solistica) dà il via alle danze, ma il pezzo in questione è un continuo trasformarsi e la prestazione tecnica dei musicisti è davvero impressionante. I dialoghi solistici tra Richard Henshall, che si destreggia col fare da virtuoso sia con le chitarre sia con le tastiere e Diego Tejelda alle tastiere sono da antologia. In Memoriam ricorda i Porcupine Tree di Deadwing, soprattutto per quanto riguarda le linee vocali, mentre Falling Back To Earth è forse il pezzo più potente del disco, dove emerge maggiormente il loro lato heavy, anche se si possono avvertire echi di Muse. Notevole la sezione ritmica formata da Raymond Hearne (batteria) e Thomas MacLean (basso) che funziona alla grande per tutto l’album. Senza citare altri brani, il disco dovrebbe essere un acquisto imprescindibile per ogni amante del progressive che si rispetti. Se poi detestate i suoni moderni e vi piacciono solo le band di 40 anni fa o i gruppi odierni che suonano “regressive” probabilmente non amerete questa band. Peggio per voi allora!!! (Marco Causin)
Atlas Stone (Video)
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