E’ probabilmente un oggetto per puristi la collaborazione tra l’ex Soft Machine Robert Wyatt, il sassofonista e compositore israeliano Gilad Atzmon (il quale era già presente nel cast di Cuckooland), e la violinista e compositrice inglese Ros Stephen, partnership che ha portato a For The Ghosts Within, opera pubblicata dalla Domino nel 2010. Già solo l’incipit di Laura, celebre standard jazz che anticipa la cifra stilistica del disco, fa però correre un brivido lungo la schiena per la luminosa bellezza del cantato di Wyatt e lo splendido intrecciarsi di archi e sassofono. E’ una rilettura di un grande classico, dove i tre mettono in primo piano la materia jazz fondendola con la concezione Wyattiana di pop, con gli splendidi arrangiamenti di Ros Stephen che donano alla grana sonora un retrogusto cameristico che però quasi mai conferisce all’ascolto un’idea di austerità, ma piuttosto di calda e avvolgente ‘vicinanza’ all’ascoltatore, un’impressione che personalmente mi ricorda molto da vicino le atmosfere che si respiravano in Shleep, album del 1997 che è anche uno dei miei preferiti della discografia di Wyatt. E proprio da quell’album è presa la poetica e brillante rilettura di Maryan, uno dei brani più memorabili di quel disco. Non è l’unico ripescaggio: For The Ghosts Within accosta riletture di tradizionali standard jazz a reinterpretazioni di vecchi brani ripescati dalla propria discografia, oltre che presentare una manciata di inediti. Questi ultimi, fatta eccezione per lo strampalato rap di Where are they now?, unico passo falso del lavoro o quantomeno incomprensibile in un’opera del genere, sono delle gemme di rara bellezza: Lullaby for Irena, scritta a quattro mani da Ros Stephen e dalla moglie di Wyatt, Alfreda Benge, presenta il punto più alto raggiunto dagli arrangiamenti di archi all’interno dell’album, e ancora di più la title track, con in primo piano il sassofono e il flauto di Atzmon nonché la voce di Tali Atzmonis a donare al brano un accento magico, vagamente orientaleggiante, senza tempo. E se la cover degli Chic At last I am free non va molto oltre ciò che era stato detto nella rilettura che Wyatt ne aveva già fatto in Nothing can stop us, raccolta di cover del 1982, il genio canterburiano conferisce un fascino magico e fanciullesco alla rilettura dello standard Lush Life e stravolge quella Round Midnight, scritta da Thelonius Monk, con un delicato e profondo interplay tra sax, archi e accordion. In chiusura, una poetica What a wonderful world si arricchisce di significati grazie alla voce di Wyatt, e commuove inducendo a pensare che quel testo, con quelle parole venate di ottimismo, sia cantato proprio da un uomo che più volte ha visto il baratro da vicino. (Paolo Cattaneo)
Laura (Video)
ho ascoltato qualche minuto di magia. grazie!
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