lunedì 26 febbraio 2018

THE FORTY DAYS, The Colour of Change (2017)


Ultimamente la toscana ci sta regalando band prog rock davvero interessanti e dopo Spettri, Basta! ed Eveline’s dust (giusto per fare qualche nome), ecco la volta dei The Forty Days (Giancarlo Padula alla voce e alle tastiere, Dario Vignale alla chitarra, Massimo Valloni al basso e Giorgio Morreale alla batteria), quartetto tra i più apprezzabili del 2017 appena trascorso. I sette brani di The colour of change mostrano davvero un songwriting di tutto rispetto, che punta molto sul pathos, con un occhio attento all’aspetto emotivo e melodico, un debut che risalta un gruppo dalle tante doti e già piuttosto maturo. L’unione di rock settantiano, psichedelia e new prog ricalca le trame care ai maestri Pink Floyd (soprattutto nel fine lavoro di Vignale), ai Marillion post Fish e ai maggiormente contemporanei Porcupine Tree e Anathema, in special modo per quella capacità di strutturare situazioni fortemente comunicative ed emozionanti. Veramente una piccola perla questa targata Lizard Records, un concept molto sentito che descrive i pensieri e le paure di un trentenne nella complicata società attuale, manifestando idee ispirate e interessanti per tutta la sua durata. La partenza di Looking for a change è piuttosto floydiana, andando a toccare anche brillanti sezioni neo progressive, così come la strumentale Uneasy dream pone l’accento sulle qualità tecniche del gruppo. The Garden e i nove minuti di Homeless sono tra le tracce più belle del platter, contrassegnate da eleganza, suoni sospesi, note lunghe ammalianti, parti strumentali e cambi di tempo. Molto buone anche John’s pool col suo perfetto crescendo e Restart, tra Pink Floyd e i tedeschi RPWL (con cui hanno in comune svariate influenze d’altronde). La lunga Four years in a while non ha fatto altro che confermarmi l’impressione di trovarmi dinnanzi ad uno dei lavori migliori che mi è capitato di ascoltare nel 2017. (Luigi Cattaneo)
 
The garden (Video)
 

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