martedì 29 settembre 2020

FUNGUS FAMILY, The Key of the Garden (2019)

 

Attivi da quasi vent’anni, i Fungus, oggi Fungus Family, arrivano al quarto album con The key of the garden, edito da Black Widow nel 2019. La formazione ligure è attualmente composta da Carlo Barreca (basso e membro fondatore), Dorian Deminstrel (voce e chitarra acustica), Alessio Caorsi (chitarra), Claudio Ferreri (organo, piano e tastiere) e Cajo (batteria), line up che in questo come back vanta l’amichevole partecipazione di Nik Turner degli Hakwind, che dona ancora maggior pathos all’elegante prog psichedelico dei genovesi. La conferma della bontà del progetto arriva da brani come Holy Picture o Suite No 5 (divisa in due parti), momenti ricchi di idee fantasiose e suggestive, ma anche quando il quintetto spinge sull’acceleratore il risultato non cambia, perché la band ha capacità di scrittura consolidate nel tempo. D’altronde i Fungus Family hanno spesso contrapposto parti tenui e classicheggianti ad altre più aggressive, frutto di un background che pesca a piene mani dal passato del rock, un gusto vintage che trova modo di emergere nelle rivisitazioni di See Emily Play dei Pink Floyd e The weaver’s answer dei Family, oltre che nell'ottima Eternal mind, dove Turner è presente al flauto. Non mancano i consueti riferimenti a Jefferson Airplane, Jethro Tull e King Crimson, che ritroviamo tra le note dell’intensa Iq84 e della buonissima Becoming to be, con Turner stavolta protagonista al sax. Chiusura della trilogia iniziata nel 2010 con Better than Jesus e proseguita nel 2013 con The face of evil, ed ennesimo lavoro convincente per una delle band più interessanti dell’attuale panorama underground nostrano. (Luigi Cattaneo)

Full Album (Video)



lunedì 28 settembre 2020

SONUM X, Purifire (2019)

 

Secondo album per i Sonum X, trio formato da Matteo Sampietri (batteria e voce), Andrea Bombaci (chitarra e voce) e Marco Zerbinati (basso), che con Purifire, uscito nel 2019, firmano un lavoro intriso di stoner, grunge e psichedelia, sulla scia dell’esordio del 2016. La miscela di suoni dei mantovani può risultare canonica, ma ciò non toglie che Purifire sia un disco solido e maturo, che guarda sì a Palm Spring ma anche alla Seattle più aggressiva, senza dimenticare le luci psichedeliche che abbagliano la potente title track o T. Ripper X, dinamici esempi di come i lombardi trattino la materia. La cupa Shadow rider fa da anticamera alla parte centrale dell’opera, un trittico meraviglioso formato da Manhattan, abbellita dal sax di Giacomo Bertazzoni, S.P.E.C.T.R.U.M., suggestivo episodio ricco di pathos e Fading flowers, caratterizzata dai synth di Pietro Frigerio (che troviamo anche nell’intro e nell’outro). Days of wolves è un altro episodio oscuro, mentre Psycotemple chiude un album di idee e sostanza. (Luigi Cattaneo)

Full Album



mercoledì 23 settembre 2020

ALGEBRA, Deconstructing classics (2019)

 

Nati in piena era new prog, gli Algebra, dopo quasi 40 anni di attività, sono ancora presenti nel panorama nostrano, segno che la passione che animava questi ragazzi nel 1983, epoca del primo demo, è intatta e resiste allo scorrere delle mode e del tempo. Alfieri di un certo stile negli anni ’90, epoca di Storia di un iceberg (1994), hanno portato avanti un discorso coerente sino al 2009, quando JL segnò il loro ritorno sulle scene, disco che vedeva i due fratelli Hackett come ospiti speciali. Il nuovo Deconstructing classics, uscito per Andromeda Relix nel 2019, pesca a piene mani brani piuttosto noti del progressive mondiale, versioni apparse negli anni dentro compilation tributo spesso firmate dalla Mellow Records. Composizioni interpretate dalla band con spirito e gusto dalle varie formazioni che hanno segnato la storia dei campani, tra cui spiccano Dusk dei Genesis, Funny ways dei Gentle Giant e Song within a song dei Camel, tutte presenti sul primo CD. Nel secondo invece, oltre ad altre apprezzabili cover, come Strangers in space dei Procol Harum, troviamo quattro pezzi scritti dai beneventani, ossia l’interessante Straight, una riuscita versione live di Russian Suite e due brani che ci riportano ai primi anni di vita del gruppo, The clouds are always present e Il muro. Gradevole omaggio ai grandi del prog, in attesa di un lavoro di inediti che ormai manca da tanti anni. (Luigi Cattaneo)

Russian Suite (Video)



venerdì 18 settembre 2020

PHREEANGLES, Lo Scuro Informe (2020)


Secondo album per i PhreeAngles, trio formato da Luca Calabrese (tromba ed elettronica), Gabriele Orsi (chitarra ed effetti) e Cristiano Vailati (batteria e percussioni), musicisti di grande esperienza che con Lo scuro informe tornano a dare voce ad una realtà fatta di immagini rarefatte, in cui inquietudine, illusione e desiderio di prospettive diverse vanno a formare una crisalide di jazz elettronico, sapientemente contrappuntato da eleganti partiture che profumano di avanguardia. Essendo tutti i brani frutto di una registrazione in presa diretta, già l’iniziale Filo di fumo profuma di free, seppure Calabrese disegna con il suo strumento scenari notturni inquieti, su cui Orsi punteggia note e Vailati instilla piccole varianti ritmiche. Danza delle fiamme, con i suoi 11 minuti di durata, mostra il carattere sperimentale del progetto, mentre più snelle sono Voce nascosta e Gatto a rotelle, dove comunque permane il carattere avant della proposta. Infinito flessibile è un’altra istantanea della performance momentanea, lontana da schemi e rigidità, forma assoluta di jazz in movimento, svincolato da qualunque paradigma. Rimane lo scheletro di trame che si susseguono, che assumono la forma di Angolo bianco, dove il trio si diverte ad inseguire il ritmo imposto da Vailati, o quello della conclusiva title track, dove la strada diviene indefinita, simbolo di un crossover d’intenti, figlio di un quadro complessivo astratto e metaforico. (Luigi Cattaneo)


giovedì 17 settembre 2020

ROOM EXPERIENCE, Another time and place (2020)

 

Bel colpo della Burning Minds, che ha da poco pubblicato Another time and place, nuovo album dei Room Experience, band melodic rock di fama internazionale formata da David Readman (voce dei Pink Cream 69), Gianluca Firmo (tastiere), Davide Barbieri (tastiere), Steve De Biasi (chitarra), Simon Dredo (basso) e Pierpaolo Monti (batteria). Dopo gli ottimi responsi del debutto, questo come back conferma tutte le qualità già espresse nel recente passato, con la scrittura di Firmo grande marchio di fabbrica (lo abbiamo conosciuto recentemente con l’esordio solista Rehab), tra parti A.O.R., elementi hard e chorus di grande presa. Wild heart e Disappointed sono brani vivaci e coinvolgenti, The distance è la ballata tipica del genere, mentre Shout è una traccia vibrante e d’impatto. Stefano Zeni degli ottimi Wheels of Fire (altra band che trovate recensita su queste pagine) presta la sua chitarra su The miles that make a road, prima di The night goes on, diretta e con pochi fronzoli, e Your voice inside delicata e suggestiva. I Room Experience confermano l’attitudine radiofonica del progetto, gioia assoluta per gli amanti dell’A.O.R. e per chi cerca nel rock melodie sognanti e un piglio leggero, easy listening, pur senza cadere nello scontato o nell’ordinario. (Luigi Cattaneo)

Hear another song (Video)



martedì 15 settembre 2020

IL SILENZIO DELLE VERGINI, Fiori Recisi (2020)


Progetto nato nel 2016 per volere del chitarrista Armando Greco (già con Tic Tac Bianconiglio e Lexus), Il Silenzio delle Vergini arriva al terzo lavoro (dopo Colonne sonore per Cyborg senza voce del 2017 e l’ep Su rami di diamante dell’anno seguente) con questo Fiori recisi, poco più di mezz’ora intrisa di new wave, post e psichedelia. I bergamaschi hanno composto un disco intenso e drammatico, con spoken word che si sposano perfettamente con atmosfere malinconiche piene di pathos, che finiscono per sottolineare con enfasi i passaggi di un racconto dove i fiori del titolo sono coloro che hanno affrontato momenti bui, che qui diventano il filo conduttore dell’intera narrazione. Oltre a Greco troviamo Cristina Tirella al basso e Francesco Lauro Geruso alla batteria, ottimi interpreti di visioni cupe e dai tratti goth, vicine ai The Cure, band che probabilmente ha parecchio ispirato il raffinato sound del trio. Non ho più paura instrada da subito l’ascoltatore verso un cammino fatto di pulsioni accostabili al dark inglese, che trovano sbocco in Cuore di farfalla e Cenere, due tra le song più riuscite del disco. La title track e Il treno dei desideri toccano l’anima, immagini conclusive di un album ispirato per tutta la sua durata. (Luigi Cattaneo)

Il treno dei desideri (Video)



sabato 12 settembre 2020

OZRIC TENTACLES, Paper Monkeys (2011)


Gli Ozric Tentacles sono sempre stati una band difficilmente inquadrabile in un genere solo, viste le tante influenze che hanno contraddistinto il gruppo nel corso della lunghissima carriera iniziata nel lontano 1984. Quasi 30 anni di space rock, psichedelia, progressive, escursioni strumentali, dove anche l’elettronica gioca un ruolo di primo piano, con le barriere che si infrangono perché troppa è la voglia di abbattere inutili steccati. Equilibrio che richiama tanto ai Gong quanto agli Hawkwind e ai Magma, un universo sonoro che ritroviamo anche in Paper Monkeys, album del 2011 inconfondibilmente Ozric Tentacles. Difatti, e questo può essere positivo o negativo a seconda dei gusti, anche questa fatica ha un suono immediatamente identificabile con quello classico dell’ensemble, frutto di composizioni dilatate che sono il marchio di fabbrica degli Ozric. Se è vero che ci sono momenti ben strutturati e anche appassionanti, soprattutto dove emerge una certa vena funky, nonchè jazzata, è anche vero che ci sono brani che non riescono a catturare l’attenzione neanche dopo svariati e attenti ascolti. Paper Monkeys è un album di buona fattura, che lascia intatto lo stile personalissimo che ha sempre contraddistinto gli inglesi e rispetta i canoni a cui ci ha abituato la band, anche se siamo a mio parere lontani dai fasti di Erpland o Strangeitude. (Luigi Cattaneo)

Full Album (Video)



mercoledì 9 settembre 2020

CAU PORTA, Grow (2019)


Arrivano da Bologna i Cau Porta, trio che in questo debutto è riuscito a mettere insieme musica popolare pugliese, jazz ed elettronica. Grow diviene quindi un viaggio eclettico che da Nord si sposta sino al profondo Sud, con Vinnie Matozza (batteria), Felix Matozza (basso) e Giovanni Romeo (chitarra) che si fanno accompagnare da una nutrita schiera di ospiti, tutti bravissimi nel mettere in campo le idee del trio. Il tema del viaggio e della migrazione sono proprio al centro del lavoro, figlio di background differenti, che qui ben si sposano tra loro, delineando un percorso che, partendo dalla tradizione italiana, si alimenta di pulsioni multiformi. Questo album rappresenta uno sguardo dentro e fuori le nostre origini, e vuole essere anche un invito all’ascoltatore a ricordare le proprie. Con queste parole la band evidenzia un punto di vista che si traduce nelle noti della popular song Tarantella del Gargano, imbevuta di jazz e sviluppi strumentali, con il Fender Rhodes di Gerry Pepe che si amalgama con i sontuosi fiati di Marco Vecchio (sax) e Simone Salvini (tromba), elementi dove si muove sicura la voce di Maria Mazzotta, già con il Canzoniere Grecanico Salentino e tra le interpreti più autorevoli della World Music. Sulla stessa falsariga, spostandosi nel leccese, vi è Pizzica di Galatone, dove però troviamo Rachele Andrioli, altra voce fondamentale del nostrano meridione, mentre Here e Grow risultano più sperimentali e lambiscono il post. Raffinatissimo il jazz rock di Cau Porta, dove i fiati del New Horns Ensemble svolgono un ruolo di primo piano, insieme ad un ispirato Edoardo Marraffa al sax tenore. Bella ci dormi presenta dietro il microfono di nuovo Rachele Andrioli, mentre la chiusura soffusa e lievemente malinconica di Roho è il valido epitaffio di un debutto curioso e trasversale. (Luigi Cattaneo)

Tarantella del Gargano (Video)


domenica 6 settembre 2020

SIMONA ARMENISE, Hasu No Chikuseki - Lotus Sedimentations (2019)


Hasu No Chikuseki – Lotus Sedimentations è il nuovo lavoro di Simona Armenise, chitarrista diplomata al conservatorio di Monopoli e docente presso la scuola media ad indirizzo musicale di Tuturano, qui impegnata in trio, insieme a Vito Pesole alla batteria e al grandissimo Ares Tavolazzi, bassista degli Area (con cui aveva già inciso Oru Kami). L’album, un concept ispirato alla cultura giapponese, è un viaggio di non facile lettura, con momenti che sembrano omaggiare la produzione di Terry Riley e Steve Reich, con il progressive che rimane sullo sfondo e guarda più alle produzioni targate Moonjune che a quelle di casa nostra, a cui va aggiunta una componente jazz di raccordo tra parti libere e svincolate da chiusure di ogni tipo. La fusione di aspetti culturali differenti è la base di partenza per capire la musica di Simona, una creatività che cerca di abbattere confini, scevra da condizionamenti, free nel suo giocare con i suoni. Hi No De è la suite iniziale divisa in tre parti, venti minuti circa che mettono in mostra le caratteristiche guida del progetto, tra suoni sperimentali, jazz, minimalismo, ambient ed elettronica. Kimodameshi prosegue sulla stessa scia, seppure la parte elettronica diviene centrale nella riuscita nel pezzo, tra i più emozionali del disco e con riferimenti al post rock. Kokoro guarda maggiormente al jazz, Kimochi de vede la Armenise sperimentare con la sua chitarra, mentre Ame no kanè è pura avanguardia e forse avrebbe giovato di una minore prolissità. Ottimi gli spunti di Fushigi, stupendo il finale di Yoru, dodici minuti riuscitissimi in cui visioni notturne post abbracciano profusioni elettriche avant prog vicine ai percorsi di Markus Reuter e Mark Wingfield. Disco sicuramente di difficile assimilazione ma di innato fascino. (Luigi Cattaneo)

Hi No De (Video)  



martedì 1 settembre 2020

IL GIARDINO ONIRICO, Apofenia (2019)


Torna Il Giardino Onirico, una delle band di punta del nuovo progressive italiano, con il terzo disco, Apofenia, ancora targato Lizard Records. Chi conosce i laziali sa cosa aspettarsi da Stefano Avigliana (chitarra), Dariush Hakim (tastiere), Ettore Mazzarini (basso), Massimo Moscatelli (batteria) e Emanuele Telli (tastiere), quintetto da sempre attentissimo alla costruzione strumentale delle composizioni, che con questo nuovo lavoro ha voluto provare ad inserire alcune novità all’interno di un plot già rodato. Ma andiamo con ordine, perché l’iniziale Onironauta è in realtà in linea con quanto ci si aspetta da una band con un tale potenziale, dodici minuti intrisi di bellezza, tra progressive e psichedelia, atmosfere settantiane e guizzi che guardano a Oriente, un’apertura davvero ottima e che ci ripresenta un ensemble in grandissima forma. A sorpresa Scivolosa simmetria vede la partecipazione di Alessandro Corvaglia alla voce, espressivo come sempre e parecchio a suo agio tra le fitte trame del gruppo, con il sound che finisce per ricordare proprio quello di La Maschera di Cera, da cui proviene il talentuoso vocalist. In Aletheia fa la sua comparsa il delicato sax jazzato di David Morucci, che ben si cala in un sontuoso interplay con la chitarra di Avigliana, ma è tutto il gruppo a ricamare con suggestione, a interpretare con spirito moderno la lezione sinfonica di un genere che ha ormai mezzo secolo di vita. Bellissima e particolare Mushin, e non poteva essere altrimenti visto che troviamo come ospite Jenny Sorrenti, ancora straordinaria interprete e voce caratterizzante, nobile espediente per innalzare ancora di più i fantasiosi sviluppi costruiti dalla band. In Apogeo torna, e con ottimi risultati, il sax di Morucci, in un brano sospeso tra Van Der Graaf Generator e King Crimson, in cui i laziali hanno aggiunto un pizzico di hard prog, prima di Un nodo all’anima, dove vi è invece nuovamente Corvaglia a firmare l’ennesimo momento di grande raffinatezza. Chiude l’album Lacrime di stelle, dove il sax è stavolta affidato a Claudio Braccio, ma il risultato è ancora appassionante, vivissimo affresco di come si possa suonare progressive senza risultare per forza vintage o dèmodè. Apofenia si muove sulla scia dei precedenti lavori, riuscendo nel difficile compito di bissare e forse superare il brillante Perigeo, che nel 2012 li aveva consacrati tra gli interpreti più interessanti del fitto panorama prog nostrano. (Luigi Cattaneo)  

Mushin (Video)   



CONCERTI DEL MESE, Settembre 2020

2
·In Progress One Festival 2020 a Sestu CA

3
·In Progress One Festival 2020 a Sestu CA
·Court + Delta a Varese

4
·In Progress One Festival 2020 a Sestu CA
·Banco del Mutuo Soccorso a Salerno

5
·In Progress One Festival 2020 a Sestu CA
·Stereokimono a Castel S.Pietro Terme BO
·PFM a Palmanova (UD)
·O.A.K. a Fiumicino (RM)

6
·In Progress One Festival 2020 a Sestu CA
·Mad Fellaz a Zero Branco (TV)

9
·PFM a Roma

10
·Aliante a Pisa

11
·Plurima Mundi a Manduria (TA)
·Glincolti a S. Zenone degli Ezzelini TV

12
·Massimo Giuntoli a Mantova
·O.A.K. a Roma

13
·Massimo Giuntoli a Mantova
·Abracadabra Festival a Comago (GE)
·Napoli Centrale a Ostia Antica (Roma)

18
·O.A.K. a Castel Giorgio (TR)

19
·PFM a Cerea (VR)

24
·Massimo Giuntoli a Riva del Garda (TN)

25
·PFM a Brescia

26
·PFM a Padova

28
·PFM a Milano

sabato 29 agosto 2020

BEDSORE, Hypnagogic Hallucinations (2020)


Arrivano da Roma i Bedsore, quartetto formato da Jacopo Gianmaria Pepe (chitarra, voce e synth), Stefano Allegretti (chitarra, voce, organo e synth), Giulio Rimoli (basso) e Davide Itri (batteria), forti di un contratto con la 20 Buck Spin, etichetta di Pittsburgh che vanta nel suo rooster band come Vastum e Tomb Mold, realtà del panorama death metal mondiale. La proposta dei romani, pur nel suo estremismo, guarda maggiormente a Carcass, Death, Sadist, Aenimus e Cattle Decapitation, seppure le influenze dei Bedsore sono molteplici e rendono il lavoro decisamente interessante e curioso. Hypnagogic Hallucinations è il debutto a base di death metal, oscura psichedelia e progressive, un esordio pieno di inventiva, di idee che si susseguono, lungo 40 minuti dove ragione e furia si incontrano, dove i virtuosismi si calano all’interno di una scrittura rigorosa. The gate, disclosure è l’iniziale introduzione di un viaggio cupo, tenebroso, da subito progressivo nelle intenzioni, elemento che deflaga nell’assalto brutale di The gate, closure, con la voce di Pepe che si inserisce perfettamente nelle sofisticate trame espresse. La coda ambient rimanda ai Seventh Genocide (ora Svnth) di Allegretti e ci conduce a Deathgazer, episodio tra i più death metal del disco. A metà album i Bedsore piazzano la progressiva At the mountain of madness, nove minuti profondi, intensi, tra passaggi strumentali, sfuriate epiche, sontuoso death e una disperazione che diviene palpabile con l’avanzare del pezzo. Cauliflower growth vede la partecipazione di Giorgio Trombino (Assumption,  Haemophagus) alla voce e ai synth, e il suono assume sfumature al limite del grind, violenza stemperata da un’attenta cura per il dettaglio, che qui si traduce in parabole dal taglio heavy e dalla sezione finale sfumata di contorni psichedelici. Death e doom si fondono in Disembowelment of the souls, con i rallentamenti tipici del genere che mostrano un altro aspetto dei capitolini, che fanno del tenere aperte più porte il proprio punto di forza. La chiusura di Brains on the tarmac è sintesi del progetto, sospesa tra le varie anime di una proposta altamente qualitativa, che segna un altro tassello di spessore nel panorama estremo italico. (Luigi Cattaneo)

Full Album


mercoledì 26 agosto 2020

MOONLOGUE, Sail Under Nadir (2020)


Debutto per i torinesi Moonlogue, che esordiscono con questo elegante Sail Under Nadir, disco a base di post rock strumentale, elettronica e un pizzico di progressive rock, sulla scia di quanto fatto da band come Calibro 35, Mogwai e Mokadelic. Il delicato concept si sviluppa lungo undici tracce che paiano vadano a formare un’unica coraggiosa suite, tra note dolenti e immagini suggerite con perizia, verso quei sentieri ignoti che circondano l’astronauta Esteban, protagonista del plot narrativo. L’autoproduzione non è qui un limite, e il quartetto riesce a creare un racconto che diviene susseguirsi di ambienti, dove trovano casa anche melodie pop ariose, potenti sezioni al limite dell’hard e passaggi dal sapore dark, melting pot di un mondo interiore che i piemontesi hanno saputo musicare con estremo fascino. Il trip si sviluppa quindi consapevole tra i fraseggi oscuri ed epici di Graphite e Grains, per poi trasportarci nell’enfasi drammatica di Borderland e Moonflares, in cui il mood psichedelico della proposta trova forma e coesione. La stratificata trama di Nuage, la greve Treeless e la malinconia di Rainyard sono altri aspetti di una proposta interessante e che non sfigura all’interno del folto panorama post nazionale. (Luigi Cattaneo)  

Nuage (Video)



lunedì 24 agosto 2020

THE HIGH JACKERS, Da Bomb (2018)


The High Jackers, nuova band guidata da Steve Taboga, cantante e bassista dei The Mad Scramble (qui impegnato anche alla chitarra), ci propone questo delizioso Da Bomb, opera prima frizzante in cui si è avvalso della collaborazione di una nutrita schiera di ottimi musicisti, bravissimi nel creare melodie che oscillano tra il soul, il rhythm and blues e il pop rock. Pubblicato nel 2018 per Toks Records e Music Force, il disco ha una forte carica vitale, complice il forte utilizzo di strumenti a fiato come sax e tromba e dal sapiente uso dell’organo, che dona una certa aurea vintage al prodotto finale. La classe e la perizia della band è percepibile sin da subito, bastano le prime note di Burgers and beers o If I don’t have you, dove la big band mostra da subito l’indirizzo stilistico proposto e la capacità di creare trame strutturate ma di facile presa. I brani risultano diretti e immediati, una black music tout court che sviluppa la regale doppietta formata da Going crazy e Sunshine, per poi guardare ai ’60 con le ottime Stunned and dizzy e Everybody’s burning, tra rock ed elegante soul. Taboga è sempre al centro della scena, istrionico leader di un lavoro di qualità, che si mantiene su buoni livelli per tutta la sua durata, incasellandosi a meraviglia nella folta schiera di autori presenti in casa Toks. (Luigi Cattaneo)

Da Bomb (Full Album)



sabato 22 agosto 2020

EMANUELE BODO, Unsafe Places (2019)


Primo lavoro solista per Emanuele Bodo, bravissimo chitarrista che firma Unsafe Places insieme a Mattia Garimanno (batteria), Davide Cristofoli (tastiere) e Carlo Ferri (basso), musicisti altrettanto capaci che hanno portato la loro classe e la loro esperienza in un debutto davvero molto interessante. Le sette tracce presenti sono tutte molto articolate, come da prassi per il prog metal venato di djent, ma Emanuele è stato bravo a non far emergere solo la tecnica mostruosa dei presenti ma anche un songwriting pulito e con ottimi spunti, dove non mancano passaggi rock e fusion. Il sound è decisamente compatto, guarda in più direzioni pur mantenendosi all’interno di un certo recinto heavy, complice il background variegato che caratterizza il quartetto, vicini per mood agli Animal as Leaders, I Built the Sky e Intervals. L’iniziale Black dunes mostra tecnica e fantasia, opener che mette in luce alcune coordinate del lavoro, tra fughe progressive e riff djent, House of 9 è un treno in corsa, con le tastiere di Cristofoli che armonizzano il tessuto potente e aggressivo della traccia, prima di Challenger deep, altro momento dalle ritmiche sostenute, con sonorità grevi e spesse e un interplay costante tra Bodo e l’eccellente tastierista. Landing to Giza ha in’apertura pianistica classicheggiante, spazzata via dall’entrata epica di tutto il gruppo, una marcia poderosa che trova nel solo del chitarrista il suo zenith, armoniosa pennellata in un monolite metal. 2 strangers ha dei risvolti fusion inaspettati, che si sposano con la consueta carica hard & heavy, Omen è decisamente più oscura, tra fraseggi ipnotici e riff saturi di elettricità, mentre la conclusiva e lunga Chernobyl è la bordata prog metal finale di un esordio appassionato e pieno di idee. (Luigi Cattaneo) 

Black dunes (Official Video)    



venerdì 21 agosto 2020

TOMMASO VARISCO, All the seasons of the day (2019)


L’Italia è un paese pieno di talenti, in tutti i campi, compreso quello musicale, sempre più bistrattato e soffocato da un mercato ridotto al lumicino. C’è ancora chi però tiene botta e scrive, compone, suona, per il gusto di farlo, per esprimere un sentimento che non si può controllare, come è giusto che sia. Fa parte di questa categoria Tommaso Varisco (voce, chitarra, ukulele e melodica) autore in giro da più di vent’anni che, con il suo esordio All the Seasons of the day, è esempio calzante di come si possa ancora fare dell’arte coniugando le passioni di una vita, nel caso specifico il folk, il rock anni ’90, il grunge di Pearl Jam e Alice in Chains e la psichedelia di fine ’60. Collaborano al progetto Matteo Dall'Aglio (batteria) e Lorenzo Mazzilli (basso e mandolino), interpreti non secondari del progetto, che parte subito forte con Hey d, che pare proprio un omaggio ai Pearl Jam di Yield, brano tirato in cui Varisco accentua i tratti sporchi della sua voce, coadiuvato anche dall’efficace chitarra di Sandro Lovato, che è ben presente pure nella decisamente meno aggressiva September is, una ballata autunnale con una leggera spinta psichedelica. Big sleep parla il linguaggio dell’alternative rock anni ’90 e la chitarra è stavolta affidata ad Emanuele Ricci, l’ottima Itchy Little House è un crossover di psichedelia, rock e grunge, con Lovato che torna a tratteggiare confini aperti, uno spirito settantiano che, a dire il vero, traspare in più punti del lavoro. Afternoon ricorda il Vedder solista dell’apprezzato Into the wild, mentre Wisdom è una ballata elettrica a cui prende parte nuovamente Lovato, quasi un membro aggiunto della band, collaborazione che ha sviluppato momenti davvero gradevoli all’interno del disco, come Lake, ipnotica traccia dove emerge anche l’ombra lunga di Neil Young, riferimento che troviamo in diversi frangenti di questo debutto. Si prosegue con Golden Hooks, tra Wizz Jones e Rick Hayward, ma sempre con uno sguardo attento a calare certe melodie nel contemporaneo, prima della delicata Flower, il cui flauto (suonato da Enrico Varagnolo) è un tributo al Gato Barbieri di Bolivia, segno della grande curiosità del compositore veneto. Coffee vede Enrico Zennaro alla chitarra, un brano molto strutturato, nei cui dodici minuti Varisco fa il compendio delle sue influenze, un trip tra psichedelia e grunge che mi ha ricordato qualcosa del Jerry Cantrell solista, mentre I still cannot understand diventa la malinconica chiusura cantautorale, intima e suggestiva, di un esordio ispirato e pieno di pathos. (Luigi Cattaneo)

Big sleep (Official Video)



mercoledì 19 agosto 2020

THE LU SILVER STRING BAND, Rock 'n' roll is here to stay (2019)


Oggi sono fortemente ispirato, risanare le mie giornate e la mia vita mi ha regalato molta energia positiva che si riversa nelle canzoni. Questo l’incipit con cui Lu Silver presenta Rock ‘n’ roll is here to stay, disco pregno di rock, hard rock e blues, affresco selvaggio di un quartetto (oltre a Lu alla voce e alla chitarra abbiamo Ale Tedesco alla chitarra, El Xicano al basso e Matt Drive alla batteria) che ha puntato molto su una proposta dal forte impatto vibrante. No more time omaggia gli Small Jackets, mentre l’ottimo bluesy di Hard road guarda a Stevie Wright, autore di due significativi album solista nei ’70 e voce degli Easybeats. L’intensa e drammatica In a broken dream e la psichedelia lieve di The sky turns blues mostrano altri risvolti del sound del gruppo, che carica battiti rock nelle micidiali trame di Miss Sugar e It’s difficult. L’adrenalina è quella degli Stones, tra i punti di riferimento principali, ma anche Status Quo e Tom Petty paiono essere fonti d’ispirazione di una band che trasuda passione e gioia, pathos ed euforia. (Luigi Cattaneo)   


Hard Road (Video)

giovedì 13 agosto 2020

NOTTURNO CONCERTANTE, Let them say (2020)


Tornano gli storici Notturno Concertante, gruppo nato negli anni ’80 dalle menti creative di Lucio Lazzaruolo (piano, chitarra classica e a 12 corde) e Raffaele Villanova (chitarra e sampling), duo attorno a cui hanno ruotato da sempre le fortune di una band che, dopo un periodo molto fecondo ad inizio anni ’90, ha progressivamente centellinato le proprie uscite discografiche. Lavori da sempre pregni di atmosfere sognanti, rifiniti con grande cura e che hanno trovato pieno completamento nelle ultime due prove, l’ottimo Canzoni allo specchio e il nuovissimo Let them say, raffinato disco strumentale di ethno rock progressivo uscito per Luminol Records. Oltre alla batteria di Francesco Margherita e Simone Pizza, troviamo in questa ultima fatica una forte componente classica, dettata dalla significativa presenza di Nadia Khomoutova al violino. So far out è impreziosita da Kaitlyn Raitz al violoncello e da Giuseppe D’Alessio al basso, Handful of hopes pone in primo piano il clarinetto di Seto Nobuyuki, mentre in Evidence of invisible troviamo la viola di Jessica Meyer (musicista della band di Molly Joyce) e nella stupenda Le magnifiche sorti il bouzouki di Francesco Brusco, interpreti perfetti per le idee dei campani, così riassunte nelle parole di Villanova. È il primo album interamente strumentale, una svolta stilistica notevole per noi, basato com’è sulla coesistenza tra strumenti acustici ed elettronica, senza però rinunciare a certe radici musicali. Il disco oscilla tra le parti folk di Finis Terrae, le delicate note di Fellow travellers (con Luciano Aliperta al basso), le tenui partiture di Dei miei sospiri e le atmosfere sospese di Darkness I became, momenti che uniscono complessità strutturale e una sensazione di immediata gradevolezza, leitmotiv di un ritorno ancora una volta decisamente notevole. (Luigi Cattaneo)

Let them say (Video)



mercoledì 12 agosto 2020

THE GLAD HUSBANDS, Safe places (2019)


I The Glad Husbands sono un trio di Cuneo formato da Alberto Calandri (chitarra), Stefano Ghigliano (batteria) e Alberto Cornero (chitarra e voce), che sul finire del 2019 ha dato alle stampe Safe places, un macigno post hardcore con spunti noise rock e math. L’impressione è che rispetto a God bless the stormy weather il trio abbia posto una maggiore cura per l’aspetto melodico, complice anche una crescita compositiva che ha portato loro a firmare un album molto riuscito, con alcuni momenti come Out of the storm o Where do flies go when they die? davvero ottimi. Come il genere richiede le ritmiche di Ghigliano sono forsennate e i riff delle due chitarre creano un devastante muro di suono, ma il terzetto non è solo potenza distorta, ha la capacità di elevare la proposta con parti strutturate e momenti maggiormente cadenzati, che rendono il disco più variegato di quanto ci si potesse attendere. L’assenza del basso non diviene un limite, probabilmente la band ha vagliato con sapienza una scelta rischiosa, riuscendo però a creare ugualmente qualcosa di solido e credibile. Urgenza punk e rigore paiono guardarsi dritto negli occhi, una sfida bilanciata con sapienza dal trio, che ha saputo plasmare la proposta con maturità ed equilibrio. (Luigi Cattaneo)

Full Album (Video)



martedì 11 agosto 2020

AMUSIN' PROJECTS, Mistery in the Making, Vol. 2 (2020)



Non siamo soliti trattare da queste pagine artisti della scena rap italiana, non di certo per snobismo verso un genere che trova le sue radici addirittura negli anni ’70 di Africa Bambaataa e Grandmaster Flash, sperimentatori di una cultura che si sarebbe radicalizzata negli anni e avrebbe trovato modo di mescolarsi anche con il rock e il metal. Il disco qui presente, Mistery in the Making, Vol. 2, distribuito dalla Peyote Press, è il nuovo ep di Amusin’ Projects, un laboratorio di idee a cui fa capo Arsen Palestini dei Menti Criminali, gruppo fondato nel 1990 ad Ascoli Piceno. Devo dire che personalmente, oltre ad aver trovato delle differenze tra questo nuovo progetto e la band madre, ho percepito la voglia di sporcare l’hip hop di partenza con il trip hop, l’elettronica e persino il jazz, elementi che hanno reso l’ascolto piacevole e curioso, anche alle orecchie di chi, come me, è meno avvezzo a certe sonorità. Probabilmente anche la scelta di far creare la musica ai diversi produttori impegnati nel lavoro (uno differente per ogni brano), ha contribuito a creare situazioni diverse all’interno del plot narrativo di Arsen, già dall’iniziale Lovedown, che gioca con le note jazzate di un pianoforte. First Term Test è un breve passaggio atmosferico che forse poteva essere maggiormente strutturato, così come Hip Hop in the Record Shop, che invece punta su un beat di maggiore impatto. Più interessante la notturna Phantomwise, il cui testo è ispirato ad una poesia del reverendo Lewis Carroll, A boat beneath a sunny sky. Chiude l’ep Bring back the meaning in rap, che guarda con orgoglio alle origini impegnate del genere, chiaro riferimento a come le nuove leve, soprattutto quelle legate alla trap, siano attente soprattutto all’aspetto commerciale della proposta. Chi conosce il percorso di Palestini non avrà difficoltà ad apprezzare Mistery in the Making, Vol. 2, in attesa di un lavoro più corposo che sono certo i fan di vecchia data attendono con trepidazione. (Luigi Cattaneo)