giovedì 21 gennaio 2021

ALTARE THOTEMICO, Selfie Ergo Sum (2020)

 

Tornano gli Altare Thotemico a distanza di sette anni da Sogno Errando, con la line up che ora vede Gianni Venturi (voce e testi) accompagnato da Marika Pontegavelli (piano, synth e voce), Agostino Raimo (chitarra), Giorgio Santisi (basso) e Filippo Lambertucci (batteria e percussioni), oltre che Emiliano Vernizzi al sax e Matteo Pontegavelli alla tromba, due special guest che con i loro fiati hanno donato ancora maggiore spessore al lavoro. Selfie Ergo Sum è probabilmente il disco più compiuto degli emiliani, intriso di poesia, riprende le radici settantiane che sempre hanno ispirato la band ma le imbeve di una sensibilità del tutto personale, fatta di sperimentazione e groove. Come diceva Goethe, costruire il futuro con elementi del passato, concetto che Venturi e soci applicano alla perfezione, complici anche i diversi progetti del leader, dai Tazebao ai Qohelet, passando per i suoi lavori in solitaria, esperienze che hanno finito per influenzare anche questo nuovo tassello Thotemico. Prog, ethnojazz, psichedelia, cantautorato, tutto si fonde per dare vita ad un album pieno, corposo, capace di evocare e di far riflettere, con tematiche forti (il cambiamento climatico, il razzismo, la fine dell’empatia) ma trattate con eleganza da Venturi, che insieme alla Pontegavelli dà vita a piccoli capolavori come Non in mio nome, Madre terra o Luce bianca. Per maggiori informazioni e per acquistare l'album potete visitare il sito www.altarethotemico.it (Luigi Cattaneo)

Selfie Ergo Sum (Video)



mercoledì 20 gennaio 2021

PANTHEØN BAND, Five lines (2020)

 


Esordio per la Pantheøn Band, gruppo formato da musicisti di grande esperienza, che calcano i palchi nostrani da decenni con vari progetti (Tommy Conti al basso, Massimo Canfora alla chitarra, di cui abbiamo parlato ai tempi dell’uscita di Create your own show, Mario Quagliozzi alla batteria, Marco Quagliozzi alle tastiere e Maurizio Cerantola alla voce, che i più attenti ricorderanno per essere stato il cantante degli Shout e per aver inciso diversi brani per le soundtrack dei film di Lucio Fulci, Claudio Fragasso e Bruno Mattei, tra cui l’immortale Living after death). Il quintetto è autore di un hard rock imparentato con l’AOR, solido e molto melodico, figlio diretto di Whitesnake, Warrant e Survivor. Five lines è quindi un concentrato di sonorità vintage, classico ma esaltante per la sua purezza, per la qualità di brani trascinanti, ruffiani al punto giusto e suonati ottimamente da una band che non nasconde gli stilemi da cui attinge ma li esalta con professionalità e doti di scrittura, fieri militanti di lunga data del rock tricolore. (Luigi Cattaneo)

On the way (Official Video)



sabato 16 gennaio 2021

LE PIETRE DEI GIGANTI, Abissi (2019)

 

L’Overdub Recordings negli anni ha esplorato con consapevolezza crescente l’alternative italiano, circuito sempre fervido di band che tentano di emergere dal fittissimo underground nostrano. Non fanno eccezione Le Pietre dei Giganti, quartetto formato da Lorenzo Marsili (voce e chitarra), Francesco Utel (chitarra e tastiere), Francesco Nucci (batteria e percussioni) e Niccolò Pizzamano (basso), che dopo l’ep Fanno Male del 2016 ha pubblicato nel 2019 Abissi. Un album corposo, ruvido, con ampio uso di distorsioni, uno stoner rock imparentato col noise e il grunge, che si fa carico di raccontare l’angoscia e il senso di annegamento dei giorni nostri, a partire da Vuoto, traccia iniziale che traccia il solco dell’inquietudine che anima i toscani. La lente dell’odio rallenta e mostra una costruzione sonora attenta e accorata, che si evince anche nell’ottima Greta, dove la matrice grunge si fa più forte, con qualche rimando anche agli Alice in Chains. DMA spinge di nuovo sull’acceleratore, la title track è un’oscura marcia, cupa e tenebrosa, mentre Canzone del sole si tinge di una sinistra carica noisy. Mattine grigie ricorda alcuni episodi targati Marlene Kuntz, prima di Stasi e della conclusiva Trieste (La casa vuota), altri frangenti molto interessanti di un disco pieno di idee e qualità. (Luigi Cattaneo)

Greta (Video)


    

martedì 12 gennaio 2021

ROSSOMETILE, Desdemona (2020)

 

Nati 25 anni fa per mano di Rosario Runes Reina (chitarra) e Gennaro Rino Balletta (batteria), i Rossometile continuano nel percorso che li vede unire heavy sinfonico, power metal e folk, elementi che nutrono anche il nuovo Desdemona, registrato insieme a Ilaria Hela Bernardini (voce) e Pasquale Murino (basso). Questo quinto album mostra una certa solidità di idee e scrittura, sempre più raffinata e rifinita, con strutture proprie di un certo grandeur orchestrale che trovano il contraltare medievale nell’utilizzo attento di strumenti come la ghironda e la cornamusa, senza dimenticare le piccole ma significative parti legate alla musica popolare, dettate dal suono particolare del tin whistle e da quello più conosciuto del bouzouki. La title track mette in mostra da subito i canoni epici del racconto, delicata e ben orchestrata è la seguente Oblivion, mentre vicina ai Rhapsody è Hela e il corvo. Sole che cammina è una tenue ballata piena di grazia e molto immaginifica, così come Storie d’amore e peste, che si muove sulla stessa scia folkeggiante e chiude egregiamente la prima parte dell’album. Rosaspina è tipicamente power, prima di XOX Arcana, tra i momenti più intensi del lavoro, e Whales of the baltic sea orchestra, strumentale davvero suggestivo. Boia misericordioso è una traccia che si tinge di intensa drammaticità, la splendida malinconia di Canzone del tramonto è il finale di un disco ricco di anima e pathos. (Luigi Cattaneo)

Full Album (Video)


   

domenica 10 gennaio 2021

ARDITYON, Ardityon (2019)

 

Esordio assoluto per gli Ardityon, heavy metal band di Treviso formata da Albert Marshall (chitarra, ex Altair, di cui abbiamo parlato per il suo validissimo Speakeasy), Valeriano De Zordo (voce dei Firelips), Diego Bordin (basso dei Mind Crusher) e Denis Novello (batteria), che si presenta con un debutto potente e aggressivo, che non disdegna affatto melodie immediate e chorus di grande impatto. Il tema della Prima Guerra Mondiale è l’evento da cui partire, la tragedia delle  morti innocenti, la drammaticità di eventi a cui mai si è preparati e da cui la band in qualche modo prende il nome (gli Arditi erano corpi speciali volontari, reparti d’assalto fondamentali nel conflitto). La botta iniziale di Ardityon è il biglietto da visita ideale, ma anche Our music è una dichiarazione d’intenti, istantanea di un quartetto formato da ottimi strumentisti, che hanno curato egregiamente la costruzione di brani che conquistano ascolto dopo ascolto. Tradizione e modernità vanno a braccetto e colorano le trame di Archons attack e Guilty of homicide, composizioni che mostrano attitudine, ritmiche corpose e fraseggi chitarristici notevoli, a sostegno della voce pressoché perfetta per il genere di De Zordo. Bellissima Pain of the world, una semi ballad molto coinvolgente, prima del thrash metal di Ancient enemy e della trascinante Zombie Apocalypse, con echi di Iced Earth, Judas Priest, Accept e Primal Fear. Glory day e Daily Holocaust chiudono un lavoro godibilissimo, senza cadute di tono, perfetto per tutti gli amanti del genere. (Luigi Cattaneo) 

Album trailer


     

sabato 9 gennaio 2021

VIRTUAL TIME, Pictures (2019)

 

Progetto ambizioso quello dei vicentini Virtual Time (Alessandro Meneghini alla batteria, Luca Gazzola alla chitarra, Marco Pivato al basso e Filippo Lorenzo Mocellin alla voce), che in un periodo dove il digitale è sempre più presente nelle nostre vite, pubblicano un cofanetto di 5 cd (4 di inediti e uno registrato dal vivo), coraggioso compendio di un percorso artistico coronato dalla collaborazione con la Go Down Records. Quello in mio possesso è però un condensato, una selezione delle tracce più significative di questa pentalogia, scostante nel suono, che abbraccia alternative, rock e hard ma non nella qualità, davvero molto alta per tutto il disco. Le influenze di Led Zeppelin, Muse e Rival Sons sono ben amalgamate all’interno di brani come Charmed, High Class Woman o Nowhere land, ottimi brani di un lavoro che però non conosce cali e che mi ha convinto nella sua totalità. Ottimo punto di partenza per scoprire l’ennesima grande band del catalogo Go Down, sempre attenta a quanto succede sul territorio veneto e punto di riferimento dell’italico underground alternativo. (Luigi Cattaneo)  

High Class Woman (Video)



mercoledì 6 gennaio 2021

GIULIO ALDINUCCI & MATTEO UGGERI, Bureau (2020)

 



Matteo Uggeri (field recordings e drones) degli Sparkle in Grey e Giulio Aldinucci (field recordings e beats), sono gli autori di Bureau, un esordio oscuro, fatto di ambient ed elettronica, suoni, rumori, piccole vibrazioni, pulsioni industriali. Il duo si muove lungo coordinate di non facile lettura, con un sound minimale che descrive senza stereotipi (Fire dome), ipnotizza (Inceneritore), diviene soundtrack di un viaggio del tutto personale (Ghiaccio). Ovviamente un lavoro del genere rischia di essere ermetico ai più, dark nel suo incedere straniante e inquieto (Zoo), a cavallo tra enigmatico sperimentalismo, glitch, ambient e noise. La partnership con la storica ADN certifica l’assoluta vena avanguardistica dei due, in una sorta di suite di 40 minuti che sviluppa il tema dell’alienazione della vita lavorativa attraverso field recordings catturati esternamente, loopati e rimodellati in beat, ritmiche, melodie arcane ed elementi drone. La lucida follia del disco non risparmia Dead flag beat e Chinese new year, mentre il finale di Inside the Bureau si avvale dei campionamenti di chitarra acustica di My dear killer e di quelli di batteria di Mattia Costa. Disco affascinante ma estremamente criptico. (Luigi Cattaneo)

sabato 2 gennaio 2021

MESMERISING, The clutters storyteller (2020)

 

Terzo disco per Davide Moscato, cantante e compositore che sotto lo pseudonimo di Mesmerising firma con The clutters storyteller un lavoro ricco di spunti melodici, dove la forma canzone viene esaltata da una band straordinaria formata da Fabio Zuffanti al basso, Martin Grice al sax e al flauto, Giovanni Pastorino alle tastiere, Simone Amodeo alla chitarra e Paolo Tixi alla batteria. Ballate malinconiche e strutture progressive si inseguono, cucendo influenze di fine ’60 inizio ’70 con altre più attuali, legate da un songwriting che riesce ad amalgamare con intelligenza le varie sfumature del progetto. Feel … my dream introduzione e incipit di un racconto che parte in maniera tenue e delicata, un’atmosfera che mi ha ricordato alcuni episodi dei Dream Theater di Metropolis Pt.2, soprattutto per il carattere immaginifico della traccia. In Ballad of a creepy night Grice dei Delirium punteggia con estro un brano di grande presa, mentre Slave of your shell ha un approccio A.O.R. ma un testo dal taglio filosofico che mostra la grande attenzione che Davide ha posto sul versante tematico del disco. Underground mette in luce il lavoro d’insieme della band, The vortex si avvicina all’horror con una scrittura che unisce prog e opera rock, prima di False reality, ballata soave e splendidamente arrangiata. La breve e fantasy In a different dimension si lega a The man who’s sleeping, altro momento dove emerge tutto il talento di Moscato e dei musicisti a sua disposizione. Chiusura affidata a The last time you called my name, struggente e progressiva conclusione di un album raffinato ed elegante. (Luigi Cattaneo)

Full Album (Video)



venerdì 1 gennaio 2021

VODA, Parallaxis (2020)

 

Iniziamo benissimo questo 2021 parlando del nuovo lavoro dei polacchi Voda, power trio formato da Radek Kopeć (chitarra, voce e pianoforte), Mikolaj Spendel (basso e contrabbasso) e Lukasz Piekarniak (batteria), che qualche mese fa ha dato alle stampe questo sontuoso Parallaxis. Si tratta di un doppio album live (con DVD) registrato a Cracovia la scorsa estate, sunto di una carriera a dire il vero che sin qui conta solo due produzioni, Onerare del 2015 e Amphibia del 2019, ma vista la bontà dell’esibizione dal vivo del terzetto viene facile pensare a nomi storici come Taste, Jimi Hendrix o i più attuali (cronologicamente parlando) Gov’t Mule, che hanno fatto dei live il vero motore della carriera. D’altronde i polacchi guardano proprio al rock blues più sanguigno, citando, magari inconsapevolmente, anche i seminali Groundhogs, oltre che ai Bakerloo di Clem Clempson, band storica e con visioni progressive ante litteram. Memorabili le versioni di Tame the time e S.O.S., ma non sono da meno nemmeno le monumentali Turnin’ around e Modern D-Grayed, che mostrano come questi arrangiamenti pensati per l’occasione si siano rivelati scelta del tutto azzeccata. Per maggiori informazioni e per acquistare i loro dischi potete visitare il sito https://vodatriopl.bandcamp.com/ (Luigi Cattaneo)

Modern D-Grayed (Video)


   

martedì 29 dicembre 2020

FRANCESCO PERISSI XO, Rossana (2020)

 

Nuovo e particolare concept album diviso in cinque fasi sull’elaborazione del lutto per Francesco Perissi XO (ex Qube), che con Rossana mostra tutto il suo background fatto di avanguardia, elettronica, dark e IDM, con lo sguardo che si posa su nomi come Autechre, Moderat e Bernard Parmegiani. Beauty è l’inizio atmosferico dell’album, una sorta di lunga introduzione vicina ad alcune pagine dei VNV Nation, anticipatrice del beat di Wordless, con il cantato di Francesco che viene subissato da suoni e rumori, effetti e distorsioni, emozionale chiusa del primo capitolo dedicato alla negazione.  Broken segna l’avvicinarsi della rabbia, il sound si fa ossessivo, pulsante, con una coda malsana in odore di Nine Inch Nails, che prosegue anche in Fxxk, uno dei pezzi più interessanti e completi del disco. La fase del patteggiamento si sviluppa dapprima con Cancer e poi in Venus, una sorta di suite elaborata tra ripetitivi espedienti elettronici e cura per la forma canzone, seppure rivisitata con una certa dose di personalità. La voce di Perissi ci conduce al momento della depressione per la perdita, una resa che diviene esplicita nelle suggestioni di Shine e Cherish, colonne sonore di un dolore che diviene tangibile, vivido, filmico. Si arriva al momento dell’accettazione con la magnetica Twins e con la conclusiva Soul, delicato epitaffio di un terzo disco intenso e profondo. (Luigi Cattaneo)

Venus (Video)



lunedì 28 dicembre 2020

KARMABLUE, Nè apparenze nè comete (2018)

 

Nati negli anni ‘90 a Roma, i Karmablue giungono al terzo disco dopo Erratico estatico del 2002, che univa rock e influenze etniche, e Acquadanze del 2006, che invece approfondiva la vena psichedelica della band. Dopo un periodo di pausa la voglia di fare musica porta il gruppo formato ora da Vera Perkins (voce), Giacomo Caruso (chitarra), Flavio Marini (chitarra), Simone Colaiacomo (basso e tastiere) e Paolo Marini (batteria) a registrare Né apparenze né comete, più progressivo e legato ai ’70 e distribuito dalla Lizard Records. Tante le idee che troviamo in questo gradevole disco del 2018, pieno di raffinati momenti e intrecci melodici molto curati, a partire da Guerra degli dei e Né apparenze né comete, che si distingue per un approccio decisamente prog e psichedelico, che sfuma nella seguente Sogni, chiusura un trittico iniziale fatto di atmosfere, cambi di tempo e un’apprezzabile attenzione per gli arrangiamenti. La band è compatta e coesa, lavora d’insieme, come nel caso dell’ottima Karma Blue e di Cristalli Parte III, che mostra un piglio dai tratti hard e che non dispiace affatto. Anche Solaris non disdegna parti fortemente elettriche, Astrimio ribadisce come Vera sia assolutamente fondamentale per lo sviluppo di certe sonorità, insieme al lavoro certosino delle due chitarre, prima di Mag-A-Lur, emozionale nel suo incedere al limite del post rock. Particolare la conclusiva Acrobati, che alterna momenti sognanti e space ad altri più aggressivi, con tanto di recitato francese che fa tanto Ange. Interessante e gradevolissimo ritorno questo dei Karmablue, accostabile a band come Verganti e Magnolia, con un piglio rock forse più marcato, che sfiora l’heavy e che rende la proposta corposa e interessante. (Luigi Cattaneo)

Sogni (Video)



domenica 27 dicembre 2020

BRIDGEND, Rajas (2020)

 

Tornano i Bridgend e con loro Rajas (che dà anche il titolo a questo nuovo capitolo dei bolognesi), protagonista del precedente Rebis di cui avevamo parlato ai tempi della sua uscita. Andrea Zacchia (chitarra) ha modificato parecchio la line up, non più un trio ma un quartetto completato da Leonardo Rivola (tastiere), Matteo Esposito (basso e fretless) e Massimo Bambi (batteria) e anche in parte il sound, meno legato al post e più al progressive rock strumentale. Scelta azzeccata che fa di questo Rajas un prequel che conferma la capacità narrativa immaginifica della band, ma anche un’accresciuta scrittura complessiva, ancora più convincente rispetto al già valido debutto. Adulta nox apre l’album, mettendo subito in mostra una formazione collaudata, con Zacchia e Rivola a duettare ottimamente (il songwriting è affidato ad entrambi e ciò probabilmente ha beneficiato al progetto), così come non è da meno la nuova sezione ritmica, che si mette in mostra nella seguente Appena un respiro, altro momento tra i più significativi del racconto. Il lato A si conclude con la suite La quiete generale, tra prog d’annata e una spruzzata di modernità, quasi 10 minuti che scivolano nella seconda suite del disco, La fatica del singolo, altra traccia notevole che forma una parte centrale che farà la felicità dei fan di P.F.M., Le Orme, Genesis e dei contemporanei Accordo dei Contrari. Ci avviciniamo alla fine prima con Nocturnale, episodio tra i più strutturati del lavoro e poi con la conclusiva La luce ci divide, piccola gemma di psichedelia progressiva che sancisce la crescita di un gruppo da tenere in grandissima considerazione. (Luigi Cattaneo)

Full Album (Video)



giovedì 24 dicembre 2020

OTEME, Un saluto alle nuvole (2020)

 


Il nuovo album del progetto Oteme nasce da lontano, ha radici nel 2012, quando Stefano Giannotti, mente dell’ensemble, gira un documentario sull’Hospice di San Cataldo, un ultimo porto per i malati terminali. Alcuni stralci delle interviste fatte per l’occasione a infermieri, OSS, dottori e famigliari dei pazienti diventano spunto per Un saluto alle nuvole, dieci brani che continuano il percorso degli Oteme, ancora una volta in bilico tra musica da camera, R.I.O., avanguardia e canzone d’autore. La doppietta iniziale di Chiudere quella porta/E c’è qualcuno introduce al mondo narrato da Giannotti, fatto di esistenze a volte marginali, di consapevolezza della fine, raccontate con delicatezza tra momenti folk e tenui interventi fiatistici (Irene Benedetti e Valeria Marzocchi al flauto, Lorenzo Del Pecchia e Elia Bianucci al clarinetto). Un ricordo bello spinge maggiormente verso l’avant, con Emanuela Lari perfetta interprete delle suggestioni del pezzo ( leggeri ma azzeccati gli interventi di Antonio Caggiano al vibrafono), prima della particolarissima Dieci giorni, che si contraddistingue per l’ottimo lavoro ritmico della coppia formata da Vittorio Fioramonti (contrabbasso) e Riccardo Ienna (batteria) e della strumentale Gli angeli di San Cataldo (Bolero quarto), che si contraddistingue per la partecipazione al violino di Blaine L. Reininger dei Tuxedomoon. La vena sperimentale e colta degli Oteme prosegue con Quando la sera, brano dove le varie voci utilizzate creano un momento di pura magia, e Turni, lunghissima composizione che definisce al meglio il sound della band. Anche Una mamma disperata e Per i giorni a venire si muovono tra grandi intuizioni liriche e aperture strumentali notevoli, mentre la title track finale è un lieve attimo contemplativo di un lavoro malinconico ma necessario. L’opera ha vinto il bando Della morte e del morire indetto dall’Associazione Culturale Dello Scompiglio di Vorno. Per acquistare il disco (operazione consigliata vista l’importanza e la bellezza del booklet annesso) potete visitare il sito http://stefanogiannotti.com/it/ o http://oteme.com/it/ (Luigi Cattaneo)



martedì 22 dicembre 2020

VIC PETRELLA, Sperimentalist (2020)

 

Breve ep d’esordio per Vic Petrella, autore in bilico tra post elettronico e psichedelia, che con Sperimentalist sigla un debutto curioso ma riuscito. La malinconica apertura di Red zone, legata alla pandemia e alle restrizioni di questi mesi, colpisce da subito per impatto e azzeccate melodie, con tanto di voce di Giuseppe Conte a profetizzare un futuro in cui torneremo ad abbracciarci. Under the stars si fa leggermente più cupa, Historia Magista Vitae punge con ritmiche elettro ben calibrate, mentre la conclusiva Nature conferma l’attitudine del foggiano nell’unire elementi diversi, tra cui partiture sinfoniche apprezzabili. Probabilmente non così sperimentale come il titolo suggerisce, ma Petrella ha sviluppato una propria ricerca personale, introspettiva e interessante, tra parti recitate e altre cantate, alternanza che funziona e che fa di questo primo episodio un gradevole antipasto prima di qualcosa di più sostanzioso. (Luigi Cattaneo)

Red Zone (Video)



domenica 20 dicembre 2020

ANDREA SALINI, Roses (2020)

 

A distanza di tre anni da Lampo Gamma torna Andrea Salini, con un altro breve lavoro (30 minuti circa) dedicato all’universo femminile. Roses vede oltre a Salini, impegnato alla voce e alla chitarra, la partecipazione di Simone Gianlorenzi (chitarra, lap steel, dobro, mandolino e basso) e John Macaluso (micidiale batterista che negli anni abbiamo trovato al servizio di Yngwie Malmsteen, Ark, Labyrinth e Symphony X, giusto per citare qualche band). Il rock di Andrea guarda in più direzioni, ha la capacità di sviluppare le molteplici influenze all’interno di un percorso organico, che punta sull’impatto e sulla forma canzone, complici anche i bravissimi musicisti che hanno collaborato all’opera. Into the storm ricorda nell’attacco iniziale gli Audioslave, per poi scivolare in un blues rock molto interessante, mentre Irina nel suo incedere punkeggiante si avvicina a qualche episodio dei Green Day di American Idiot. Rock ‘n’ roll dreamer guarda invece al country folk, impreziosita dal delicato piano di Silvia Leonetti e dal fine lavoro di Gianlorenzi alla slide, Verum Rosa è una breve poesia narrata da Mariangela Gritta Grainer, momento spirituale spazzato via dalla title track in odore di rock americano. Starfighter è un valido brano strumentale, melodico e ispirato, Take you back è accostabile al Ben Harper degli esordi, con fraseggi reggae lievi e misurati a cui hanno contribuito il basso di Pino Saracini e le percussioni di Carlo Di Francesco, prima della catchy Love song e della conclusiva strumentale The name of the rose, dove ritroviamo il piano della Leonetti, protagonista di un finale che suggella un album variegato ma ottimamente calibrato. (Luigi Cattaneo)

Roses (Video)


     

sabato 19 dicembre 2020

RAINBOW BRIDGE, Unlock (2020)

 

Tornano i Rainbow Bridge, meraviglioso trio formato da Giuseppe Piazzolla (chitarra), Paolo Ormas (batteria) e Fabio Chiarazzo (basso) che abbiamo avuto modo di conoscere con Dirty Sunday del 2017 e Lama dell’anno successivo, due lavori che, ispirati dal genio di Jimi Hendrix, mettevano insieme rock blues, psichedelia e desert rock. La band torna a guardare a quanto fatto nel primo disco, con una registrazione effettuata il 16 giugno 2020 senza overdubs, una scelta che esalta il lato più istintivo dei pugliesi e che personalmente apprezzo maggiormente. Per la prima volta dopo anni ci siamo dovuti fermare. Durante il lockdown abbiamo pensato che quando tutto fosse finito la prima cosa che avremmo fatto sarebbe stata tornare in studio. Unlock è il risultato di queste jam piene di speranza e rinnovata energia. L’irruenza spontanea che emergeva meno in Lama trova qui nuova vita e forma, con citazioni del classico stile rock blues settantiano, quello di Hendrix ma anche dei Taste di Rory Gallagher in Marvin Berry e Marley, mentre l’hard, la psichedelia e la solita punta di stoner trovano modo di emergere nelle lunghe Speero the hero e The girl that I would meet this summer. La tirata chiusura di Jack sound conclude magnificamente questo terzo capitolo dei Rainbow Bridge, che visto il periodo di classifiche può tranquillamente rientrare nel novero dei dischi più interessanti dell’anno. (Luigi Cattaneo)

Full Album (Video)



domenica 13 dicembre 2020

ALECO, L'ultima generazione felice (2020)

 

Alessandro Carletti Orsini, volto della Music Force (etichetta discografica ma anche studio di produzione musicale), scende in campo personalmente e con lo pseudonimo di Aleco da vita a L’ultima generazione felice, disco in bilico tra facile pop e gustose divagazioni cantautorali. L’alter ego Sabina è la protagonista delle dieci storie narrate, che vanno a formare un racconto che, pur tra alti e bassi, mostra la passione di Alessandro e lascia trasparire come probabilmente si possa fare di più. Molto gradevole la title track iniziale, che profuma di anni ’80 e vede la partecipazione di Sofia Dessì alla voce, Arrivo per cena vira su un cantautorato che ricorda alcuni episodi di Francesco De Gregori rivisto in chiave maggiormente pop, vestito che sembra quello più interessante per il progetto, mentre Quel pizzico è un delicato momento arrangiato ottimamente da Andy Micarelli (che ha suonato tutti gli strumenti presenti sull’album e ha scritto i brani insieme ad Aleco). Ma che bella l’estate cambia decisamente pelle, un brano pop poco convincente che ospita Chiara Falasca, che con il suo rap non risolleva le sorti del pezzo. Anche Almost jazz è molto leggera ma il lavoro di Micarelli è apprezzabile, prima della breve Alessandro smettila, che non aggiunge molto a quanto detto sinora, e di E così nacque Roma, che invece è una piccola sorpresa, in bilico tra Antonello Venditti, Aldo Donati e Lando Fiorini. Tutti i tuoi sbagli è un’indovinata dedica alla figlia (con piccola citazione di Battiato), Tutto finisce così è un piccolo frangente che introduce alla conclusiva Una panchina di montagna, bel finale con tanto di grandeur sinfonico in coda, a suggellare forse la composizione più compiuta di un disco altalenante, dove Alessandro sembra non volersi prendere troppo sul serio, quando invece credo che abbia le carte in regola per farlo, all’interno di un percorso di pop cantautorale che pare prediligere e che sono curioso di capire come si possa sviluppare in futuro. (Luigi Cattaneo)

Intervista di presentazione (Video)


 

sabato 12 dicembre 2020

FRANK GET, False flag (2019)

 

Attivo da circa quarant’anni nel panorama rock blues nazionale, Frank Get arriva a questo quindicesimo disco con la ferrea volontà di analizzare alcune verità storiche del suo territorio di nascita (Trieste), complice anche la pubblicazione del libro Ti racconto la mia terra. Storie curiose musicate con grande classe da un trio davvero rodato (oltre al leader impegnato alla voce, alla chitarra, al banjo, al mandolino, al piano e all’Hammond, troviamo Marco Mattietti alla batteria e Tea Tidić al basso), attento nel creare una coesione pressoché perfetta tra testi e melodie, esaltazione profonda di personaggi vissuti nel triestino e nelle zone limitrofe. La rivolta operaia di San Giacomo del 1920 viene raccontata con carica rock in The great reception, verve che si colora di zampilli bluesy in Johnny’s bunch e di grande folk in Freedom republic (abbellita dall’uso di viola e violino). Il blues fa capolino in Anton the brewer, prima della ballata agrodolce di Marbourg hills (dove è presente il violoncello di Elisa Frausin), che narra delle vicende dei nonni di Frank, emigrati, non senza difficoltà, dalla Slovenia. Puro rock blues nell’intrigante What’s the patriot, mentre in Trip to the moon (con il bravissimo Anthony Basso alla chitarra) riecheggia il Mark Knopfler dei suoi tanti dischi in solitaria, così come incanta l’intensa Last day of summer. La slide e il violoncello colorano Joy, la conclusiva bonus Climbin ‘up this mountain è il finale corale con una serie di grandi ospiti, buonissimo epitaffio di un lavoro fantasioso e di notevole livello. (Luigi Cattaneo)

Climbin ‘up this mountain (Video)



venerdì 11 dicembre 2020

MOTHER ISLAND, Motel Rooms (2020)

Terzo disco per i Mother Island, quintetto formato da Anita Formilan alla voce, Nicolò De Franceschi e Nicola Tamiozzo alle chitarre, Giacomo Totti al basso e Jody Berton alla batteria e parecchio influenzato dalla psichedelia anni ’60 con influssi west coast. Omaggio e rivisitazione delle surreali visioni dei Jefferson Airplane colorano questo Motel rooms, testato in un tour americano prima di entrare in studio di registrazione (ma d’altronde avevano già diviso il palco con Mark Lanegan, The Pretty Things e Kula Shaker). Con la California ancora ben presente, la band ha composto un lavoro fresco e molto gradevole, a partire dal singolo And we’re shining. I vicentini iniettano nel loro sound pillole di Beatles nella doppietta iniziale Till the morning comes / Eyes of shadow, mentre tracce di Doors echeggiano in Summer glow. La stagione psichedelica viene tributata anche in We all seem to fall to pieces alone, Demons e Song for a healer mostrano tutta la consapevolezza del songwriting raggiunto, prima del r’n’r di Santa Cruz e della trascinante Dead rat, molto filmica. Il brano conclusivo, Lustful lovers, è la summa di un percorso sempre più maturo e cosciente. (Luigi Cattaneo)

And we're shining (Video)




mercoledì 9 dicembre 2020

ALESSANDRO SPARACIA, Endless (2019)

 

Terzo disco per Alessandro Sparacia, polistrumentista che con il nuovo Endless si divide tra chitarra, piano, tastiere, basso e voce, one man band solitario che si è prodigato in un concept sull’amore con uno sguardo sull’universo dei Dream Theater ma anche su quello neoclassico di Yngwie Malmsteen. Lo strumentale introduttivo, Vibration, ci conduce in maniera evocativa nelle vicende del racconto (il ricco booklet ben spiega l’iter narrativo), che si dipana nell’emozionale e progressiva Passion, tra i pezzi migliori del disco. Di notevole intensità anche Madness, che unisce fraseggi atmosferici e parti più tirate, in cui la chitarra si eleva a grande protagonista. Rage è uno dei brani più heavy prog dell’album (con tanto di citazione di Bhrams), Courage mostra una certa cura melodica nei soli (Petrucci docet), prima della title track, che avrebbe probabilmente giovato di una voce più piena. La delicata Tender embrace è l’outro che chiude un lavoro che può incuriosire non solo i chitarristi, proprio perché Sparacia è stato ben attento nell’incastonare i passaggi virtuosi e hard all’interno di strutture immediate e dotate di pathos. (Luigi Cattaneo)

Rage (Video)



sabato 5 dicembre 2020

HOGZILLA, Hogzilla (2020)

 


Destino strano quello degli Hogzilla, ma comune a tante band che si ritrovano a scrivere, ad avere idee, magari anche ad incidere dischi che non vedranno mai la luce. La storia, soprattutto del progressive italiano, presenta diversi gruppi che hanno pubblicato lavori, anche di valore, decenni dopo la registrazione o la composizione dei brani (basti pensare ai Sigmund Freud, ai Sezione Frenante o ai Corpo). Nel caso del gruppo formato da Mario Marinucci alla voce, Vittorio Leone alla chitarra, Enzo P. Zeder alla batteria, Mirko Iobbi al basso, ci troviamo dinnanzi però ad un quartetto di matrice stoner, che nel 2013 registrò a Parma questo esordio inedito, pubblicato ora dalla Zeder dischi di Enzo (www.zeder.it), che da queste pagine conosciamo per i suoi progetti con Salmagündi, Kotiomkin ed Egon Swharz (dove invece suona il basso). Il debutto degli Hogzilla è un concentrato di stoner, sludge e bizzarra psichedelia dai lievi contorni progressivi, un viaggio distorto che rimanda agli Eyehategod, ai Melvins e ai Bongzilla, un flusso massiccio e imperioso che nei momenti più melodici ricorda anche il piglio dei Crowbar. La partenza di Assembled alive! mostra da subito la solidità delle ritmiche, i riff taglienti di Leone e la voce profonda e cavernosa di Marinucci, quadro d’insieme che si riflette anche nell’aggressiva carica heavy di Cold sinner e nella tensione compatta e opprimente di Through the closed doors, con i Black Sabbath sullo sfondo. L’assalto del trittico iniziale non si stempera nemmeno in Threshold of discomfort, che tra grezza furia e arpeggi doomy ci porta con le sue malsane atmosfere allo strumentale Touch the apricot e a The warden, brano tra i più interessanti del disco per quel suo alternare passaggi sospesi ad altri tipicamente stoneriani. Anche Alone laughing man vive su questa dicotomia, Ooze si riallaccia con prepotenza allo stoner sludge più robusto ed epico, mentre il finale di Annihilator of hopes è l’annichilente vagito conclusivo, che nella versione cd riserva due bonus, la potente Calamity e la particolare Blues for the outstanding hogs, che mostra come davvero la band avesse parecchie cartucce a disposizione. Fortunatamente potete recuperare questo oscuro gioellino acquistandolo su https://hogzilla.bandcamp.com/ (Luigi Cattaneo)


martedì 1 dicembre 2020

ARCAMIRI, Quel che non dici (2020)

 

Uscito nell’ottobre del 2019, Quel che non dici degli ArcaMiri viene ora stampato con una bonus track finale, secondo lavoro dopo l’ep Contatto del 2018. Totalmente autoprodotto, l’album è un coraggioso concentrato di progressive, R.I.O. e avant prog, una spirale sapientemente costruita e di non facilissima lettura ma che sa conquistare ascolto dopo ascolto. Il quartetto formato da Simona Minniti (voce e synth), Ivan Ricciardi (pianoforte e synth), Peppe Capodieci (basso) e Vincenzo Arisco (batteria e percussioni) ha un’innata voglia di esplorare soluzioni, di realizzare strutture corpose e intricate su cui vibrare brevi fraseggi melodici, come un taglio sulla tela di fontaniana memoria, fenditure concettuali che si esprimono attraverso i testi poetici e la vocalità operistica della brillante cantante. I siracusani arrivano a questo secondo appuntamento discografico forti di una propria personalità, frutto di un approccio free alla materia, ossia senza vincoli, un lavoro di squadra che ha portato a composizioni libere ma sapientemente edificate. Ed è quello che fanno i siciliani all’interno di 7 brani dove non mancano sorprese, come il trittico formato dalla title track, da Inquietudo e Ballata (di una vecchia puttana), che mette insieme tutte le influenze della band, accuratamente dosate per formare una sorta di suite marcatamente progressiva, un trip che non disdegna scenari dark e postille avanguardistiche. Piove e Dentro una goccia sono l’anello di congiunzione tra gli spunti classici dei contemporanei Quanah Parker (seppur con una lunga storia alle spalle) e i settantiani Opus Avantra di Donella Del Monaco e Alfredo Tisocco. Non da meno L’adesso e la bonus Migrazioni, che mostra un gruppo ispirato e davvero molto interessante. (Luigi Cattaneo)

Quel che non dici (Video)



lunedì 30 novembre 2020

FARO, Luminance (2020)

Nati nel 2007 e con all’attivo un album (Gemini del 2011), tornano dopo un periodo piuttosto lungo i Faro, duo formato da Angelo Troiano (chitarra, basso, tastiere ed elettronica) e Rocco De Simone (voce e tastiere), coadiuvati da Fabrizio Basco (chitarra). Il trio arriva a questo Luminance anche grazie all’interesse dell’Andromeda Relix, etichetta sempre attenta agli sviluppi dell’underground nostrano, mostrando come il tempo abbia reso il progetto più maturo e definito. Poco più di trenta minuti in cui il prog metal abbraccia parti dilatate, con uno sguardo agli sviluppi che ha avuto il genere negli ultimi 15-20 anni, un ponte tra i Rush, le atmosfere degli Anathema e la modernità dei Pineapple Thief. Pure mette subito in mostra i tratti malinconici del disco, pur non disdegnando affatto attimi di grande vigore, oscurità che lambisce anche Fragments e la seguente December, trittico davvero interessante e riuscito. Fascino che non si perde nemmeno in Lukas, e si accentua nel dark di Tears, mentre Down è il pezzo più progressivo del disco e mette insieme le varie influenze che da sempre animano gli abruzzesi. Il finale ci riserva le aggraziate melodie di Autumn e il dark prog della title track, buon epitaffio di un ritorno estremamente intelligente. (Luigi Cattaneo)

December (Video)



giovedì 26 novembre 2020

DISKANTO, Temerari sulle macchine volanti (2019)

 

Tornano i Diskanto (Loris Durando al basso, Fausto Punzi alla batteria, Stefano Scolaro alla chitarra elettrica e Marco Turati alla chitarra acustica e alla voce), band di Cremona attiva dal 1985 e che ha lavorato per due anni al nuovo Temerari sulle macchine volanti, disco intriso di rock cantautorale maturo e passionale, accostabile a Litfiba, Negrita e Timoria. L’iniziale Il lanciatore di coltelli ricorda ottime band underground come Le Jardin Des Bruits e Wendy?!, Odio gli indifferenti si fa tesa e aggressiva, mentre Ci credi ancora? si avvale della collaborazione della voce dell’ex Timoria Omar Pedrini. Vecchie abitudini propone un muro elettrico ferreo e potente, il flauto di Franco D’Aniello dei Modena City Ramblers ben si amalgama con la band in Zep, prima dell’oscura Un giro di vite e di Trentamila giorni, più vicina ad alcune pagini di Ligabue. Si riparte alla grande con l’energica Non avrai il mio scalpo, che anticipa la conclusiva Povero tempo nostro, omaggio al grande Gianmaria Testa, e resa in maniera delicata e profonda anche grazie alla partecipazione di Roberto Cipelli al pianoforte e al Fender Rhodes (conosciuto soprattutto per i lavori con Paolo Fresu), ottima chiusura di un disco vigoroso ma al contempo elegante. (Luigi Cattaneo)

Povero tempo nostro (Video)


  

lunedì 23 novembre 2020

SPEED STROKE, Scene of the crime (2020)

 

Per gli appassionati di hard rock con tendenze sleaze, Scene of the crime degli Speed Stroke, appena uscito per Street Symphonies, è un appuntamento assolutamente imperdibile, un terzo lavoro che certifica la grandezza del quintetto formato da Andrew (batteria), D.B. (chitarra), Jack (voce), Fungo (basso) e Michael (chitarra). I dieci pezzi di questo ritorno mostrano come la carica live sia ancora del tutto intatta a distanza di quattro anni da Fury, con brani energici e pieni di passione, accostabili a Crashdiet, Steel Panther, Backyard Babies e Hardcore Superstar. L’irruenza hard della band fa subito capolino in Heartbeat, la title track omaggia gli anni ’80 del genere con grande consapevolezza, mentre After dark rallenta ma non perde nulla in quanto a potenza e forza propulsiva. La battagliera Soul punx è tra i brani più aggressivi del disco, prima della suggestiva No love, che mostra l’anima meno inquieta del gruppo, una semi-ballad elettrica davvero notevole. La seconda parte del lavoro si apre con Red eyes, altro tributo agli ’80, decennio cult per il genere, e la frizzante verve di Out of money, a cui fa seguito la briosa allegria r’n’r di Who Fkd Who. Le conclusive One last day, inaspettatamente delicata e Hero No.1, che invece torna a spingere in direzione hard rock, chiudono un album spontaneo, fresco e convincente sotto tutti i punti di vista. (Luigi Cattaneo)  

Album Teaser



domenica 22 novembre 2020

TASSIELLO TRIO, Il sognatore (2020)

 

Primo album per Renato Tassiello, batterista che qui si fa accompagnare da Alberto Sempio alla chitarra e Gigi Andreone al basso, un trio che diviene spessissimo quartetto grazie alla presenza pressoché costante del clarinetto, suonato da Paolo Tomelleri e Mauro Negri, due raffinati interpreti del jazz nostrano. La componente jazz, prevalente, si sporca di rimandi fusion e piccole pulsioni rock, un equilibrio costante che fa di Il sognatore un debutto brillante, scritto in maniera curata e ottimamente suonato da musicisti esperti e preparati. L’iniziale Big event è l’unica suonata in trio, si denota una compattezza d’insieme da subito notevole, una vena jazz rock pulsante dettata da ritmiche piene di groove e da una chitarra che appare ben presente e tutt’altro che comprimaria. La title track e la seguente Mr. Herbie vedono la presenza del maestro Tomelleri, tra suggestioni da soundtrack, jazz club e omaggi, nemmeno tanto velati, a Sextant di Herbie Hancock, rivisitato però con grande temperamento ed eleganza dal quartetto. Negri, altro interprete di fama internazionale, si cala perfettamente nelle atmosfere di The splinter, vicina ad alcune cose di John Scofield, quindi un jazz solido in cui Sempio e l’ospite sfoggiano momenti solistici di valore, sempre sostenuti da un motore ritmico efficiente e coeso. Tomelleri torna in Notes from Senegal, uno sguardo sull’Africa condito proprio da uno straordinario lavoro del clarinetto, mentre la conclusiva Infernal Rhythms si avvale non solo di Tomelleri ma anche di Gabriele Comeglio al flauto, Luca Campioni al violino e Simone Rossetti Bazzaro alla viola, episodio finale che riassume in sé le varie anime del progetto di Tassiello. C’è anche una bonus track, Caravan, gradevole rivisitazione di un brano di Juan Tizol, scritto nel 1936 per Duke Ellington e qui suonata da Renato insieme al solo Tomelleri. (Luigi Cattaneo)

Big event (Official Video)



venerdì 20 novembre 2020

TUGO, Giorni (2020)

 

Ep d’esordio per i Tugo, band formata da Francesco Mazzini (batteria), Andrea Rossi (basso e voce) e Andrea Mordonini (chitarra e voce) nel 2018 e che ha lavorato con estrema calma ad un progetto che parte da lontano e arriva ai giorni nostri grazie ad un’autoproduzione corposa e certosina. Il trio ha prodotto i brani seguendo il proprio istinto, spesso ha creato da jam effettuate nel loro vecchio garage di campagna, una devozione alla causa che fa di Giorni un debutto sicuramente gradevole. La title track che apre il lavoro profuma di indie inglese, Mani  presenta qualche spunto pop rock, soprattutto per un chorus immediato e molto fruibile, mentre la vivace e divertente Nessuno vuole bene al bassista mi ha ricordato alcuni episodi r’n’r del periodo di Ligabue con i ClanDestino. Dottore è il brano maggiormente strutturato e mostra un approccio più ragionato alla materia (con coda strumentale in odore di Verdena), forse il pezzo più interessante di questi 15 minuti, un primo passo piacevole e molto scorrevole. Di seguito il link per ascoltare l'intero ep https://soundcloud.com/tugomusic/sets/giorni-ep (Luigi Cattaneo)  


giovedì 19 novembre 2020

THE MILLS, Cerise (2020)

 

Giovane band nata nel 2019, i The Mills sono formati da Morris (già con New Ivory e Muleta) alla chitarra, alla batteria e alla voce, Augusto Dalle Aste al basso e al contrabbasso e Giovanni Caruso alla chitarra (attualmente troviamo anche Pietro Pedrezzoli alla batteria, che non ha preso parte alle registrazioni del lavoro). Non trovo nella musica contemporanea la complessità e gli intrecci artistici che ho sempre trovato in musicisti o band del passato, la mia indole romantica è spinta ad un’attenzione al vecchio per concepire il nuovo. Così Morris spiega Cerise, 25 minuti circa dove si guarda al punk, al post punk e al brit pop, uno sguardo sugli scorsi decenni che ha portato alla creazione di brani attuali e assolutamente gradevoli, come nel caso dell’iniziale Invain o della successiva Kachina, che diviene maggiormente ragionata e figlia di un alternative rock di stampo tutto americano. I vicentini mostrano da subito di avere doti e intelligenza per dosare le varie anime del progetto, come si evince dalle aggressive dinamiche di Eyes, che sfociano nella più mite I barely exist, vicina ad alcuni momenti dei R.E.M. degli esordi. Panic Toll mette insieme garage e brit pop, tra The Strokes e Oasis, doppiata dalla title track, che rimarca l’attitudine punk del progetto. Elemento che trova ancora più forza nella conclusiva Camden Town, vicina ai Clash e divertente conclusione di un album fatto di vigore r’n’r, attitudine live e melodie penetranti. (Luigi Cattaneo)

Eyes (Official Video)



martedì 17 novembre 2020

RØSENKREÜTZ, Divide et Impera (2020)

 

Tornano i Røsenkreütz, progetto di Fabio Serra (chitarra, tastiere, voce) in bilico tra progressive rock britannico, new prog e A.O.R., che dopo il buonissimo Back to the stars del 2014 ha rinnovato la line up, che ora prevede Gianni Brunelli (batteria), Gianni Sabbioni (basso), Massimo Piubelli (ottima voce dei Methodica), Carlo Soliman (piano e tastiere) e Eva Impellizzeri (viola, tastiere). Divide et Impera, uscito qualche mese fa per Andromeda Relix, è un concept sul tema del controllo, una sorta di film a episodi in cui ciascuno fa riferimento all’argomento di base, con la partenza di Freefall che è già piuttosto esemplificativa della quantità di idee che andremo a trovare nello sviluppo delle sequenze narrative. Imaginary friend gode della presenza del violino, che ben si adagia sulle note dell’organo e su melodie vocali che a tratti ricordano i Queen, The candle in the glass è un episodio pieno di grazia, abbellito dalla presenza dell’Evequartett, mentre I know I know vira su un prog moderno e contaminato dal rap di Flamma. Aurelia mette insieme drammaticità e tensione lirica, un ottimo affresco prog che ben si sposa con parti jazzate, prima dell’ottantiana True lies e dell’emozionante Sorry and … L’album si chiude con The collector, grandiosa suite che supera i 15 minuti, sintesi del pensiero musicale di Serra e compagni, tra hard, cambi di tempo progressivi, anni ’70, enfasi strumentale e fantasiose melodie. Sono passati ben sei anni dal lavoro precedente, tempo in cui il progetto è maturato e ha preso ulteriore forma, quella attuale, fatta di un songwriting ispirato ed estremamente curato nel dettaglio, elemento non da poco per cercare di emergere nel ricchissimo panorama prog nostrano. (Luigi Cattaneo)

Official Teaser



lunedì 16 novembre 2020

SIMONE PIVA & I VIOLA VELLUTO, Fabbriche Polvere e un Campanile nel mezzo (2019)

 

Fabbriche polvere e un campanile nel mezzo è il quinto lavoro in studio per Simone Piva & i Viola Velluto (Simone Piva alla voce e alla chitarra, Federico Mansutti alla tromba, Luca Zuliani al contrabbasso, Alan Liberale alla batteria e Francesco Imbriaco al piano e alle tastiere) band che, pur muovendosi in un circuito underground, è riuscita negli anni a suonare di spalla a band importanti come The Zen Circus e Fast Animals and Slow Kids o ad Omar Pedrini, fondatore degli storici Timoria. Il folk rock di Simone continua il suo percorso fatto di racconti di strada e omaggi al western italiano, già a partire dall’iniziale verve di La battaglia infuria, a cui segue Da dove vengo, furia r’n’r e un groove inarrestabile. Sulla stessa falsariga si muove Cani sciolti, che non disdegna un’atmosfera da far west, mentre Imprevisti cambia registro e ci dona una ballata dalle splendide melodie ispirata a La Flaquita (Madonna venerata dai bandidos messicani), con Imbriaco che accompagna delicatamente la voce di Piva. Si torna a parlare il linguaggio del folk rock in Oggi si uccide domani si muore, con Mansutti che da forza e vigore ad un brano molto riuscito, prima dell’omaggio di Sergio Leone rivolto al grande regista italiano, dove ovviamente troviamo le influenze western e morriconiane del gruppo in bella evidenza. Chiudono il breve lavoro (27 minuti circa) il gradevole pop rock cantautorale di Questa estate e Il destino di un uomo, piacevole finale di un ritorno che mette insieme ironia, divertimento ma anche frangenti di sana riflessione. (Luigi Cattaneo)

Imprevisti (Video)



venerdì 13 novembre 2020

FUKJO, La musica, il mare e la deriva occidentale (2019)

 

Dopo 2 ep e anni spesi a suonare live in compagnia di personaggi del calibro di Paolo Benvegnù, Pierpaolo Capovilla e Emidio Clementi, i Fukjo tornano ora in duo (Giuseppe Dagostino alla voce, alla chitarra e ai synth e Gianluca Salvemini al basso, alla batteria e ai synth) e lo fanno con un lavoro, La musica, il mare e la deriva occidentale, uscito nel 2019 per Overdub. La maturità del gruppo si palesa in brani come Martini Dry o A casa tutto bene, dove alternative e shoegaze si inseguono, si toccano, danno vita a sonorità aspre ma ricche di spunti melodici, aspetto peculiare nella scrittura dei pugliesi, come si evince anche dalle particolari sfumature di Isole (primo singolo dell’album) e dall’affascinante carica di Pianure alture. La rabbia di Fate fuoco può ricordare qualche episodio dei Marlene Kuntz, Triplo Kaionen, con la sua vena ironica, è il secondo singolo scelto per il lancio del disco, mentre un certo flusso psichedelico lambisce Vorticare, prima della malinconia soffusa di Prototipi e di Lo show di Gaz, che chiude un ritorno curioso ed estremamente interessante. (Luigi Cattaneo)

Isole (Official Video)



martedì 10 novembre 2020

MONOLITH GROWS!, Interregnum (2020)

 

Interregnum è il nuovo ep dei Monolith Grows!, band di cui ci eravamo occupati in occasione dell’ultimo e valido Black and Supersonic. Il quartetto formato da Andrea Marzoli (voce e chitarra), Massimo Codeluppi (chitarra), Enrico Busi (basso) e Riccardo Cocetti (batteria) si ripresenta in grande forma, con tre brani (che diventano due nella versione 45 giri) tirati e potentissimi, riproponendo la consueta miscela di stoner, heavy e grunge dei primordi, una strada accattivante che gli amanti di certi suoni non potranno che apprezzare. 15 minuti trascinanti, aggressivi, in cui i modenesi si rivelano più acidi che in passato, senza dimenticare di citare Unida, Yawning Man, Soundgarden e Kyuss, che ritroviamo tra le pieghe di Nicolas Cage e Shade and sleep (i due brani del 45), nonché nell’ottima Nicolas Kim Coppola (che completa l’ep digitale). La band continua a viaggiare su territori che conosce benissimo e lo fa con spirito e cura, propone idee magari non originalissime ma le attua con consapevolezza ed estro. In attesa di un nuovo disco Interregnum è sicuramente un appetitoso lavoro ponte verso qualcosa di più corposo. (Luigi Cattaneo)

Shade and sleep (Video)



lunedì 9 novembre 2020

ME VS MYSELF, Mictlàn (2019)

 

Dietro il monicker Me vs Myself si cela Giorgio Pinardi, sperimentatore vocale che porta avanti da anni una propria ricerca sulle possibilità dello strumento voce, proprio come quel Demetrio Stratos ancora oggi celebrato da chi studia e analizza i meccanismi infiniti che regolano questo linguaggio espressivo. Mictlàn è il suo secondo lavoro (dopo Yggdrasill del 2015) e parte subito in maniera interessante con Khnum, sovrapporsi magnetico di voci che mette immediatamente in luce il talento di Giorgio, solitario cantore che utilizza la voce come unico strumento, mentre si struttura maggiormente Tin Hinan, viaggio etnico affascinante in cui ritmo, armonia e melodia sono costruite da Pinardi in maniera assolutamente congeniale, andando a creare una babele di suoni che sono figlie della sua curiosità, della sua voglia di esplorare. Giorgio esamina culture, richiama suoni ancestrali lontani, che imbeve di variabili ritmiche come nel caso di Gurfa, scandaglia suoni e timbri, fraseggi che guardano al continente africano e che si palesano nell’ottima Mbuki-Mvuki. Sygyzy diviene più livida, soprattutto per l’uso di suoni inquieti, mentre Tingo si avvicina alle atmosfere brasiliane della Samba, prima della lunga Ohrwurm, sospesa tra sperimentazione, sovrastrutture, spiritualità e melodie ricercate. Chiude il disco l’atmosferica Eostre, finale di un album nobile, fatto di suggestioni, di percezioni, di stupori che colpiscono e stordiscono l’ascoltatore e che rimandano a visioni di mondi distanti, che possiamo sentire a noi affini anche grazie ad opere come queste. (Luigi Cattaneo)

Official Teaser


 

  

domenica 8 novembre 2020

QUADRI PROGRESSIVI, Chris Cornell


Omaggio pittorico a Chris Cornell, scomparso nel 2017 e ricordato per i suoi trascorsi in Soundgarden, Temple of the Dog e Audioslave. 

L'artista milanese Lorena Trapani, che da anni cura la rubrica Quadri Progressivi del blog, ha tributato il cantante americano utilizzando una tecnica mista fatta di carboncino e grafite. 

Trovate tutte le opere di Lorena sul sito nella sezione Quadri.  

venerdì 6 novembre 2020

BARBARA RUBIN, The shadows playground (2020)

 

Terzo lavoro in studio per Barbara Rubin dopo Under the ice del 2010 e l’ep del 2017 Luna nuova. Barbara non ha una band di supporto e si destreggia magnificamente tra voce, violino, viola, piano, synth, chitarra, basso e batteria, facendosi aiutare nel nuovo The shadows playground (registrato quest’anno ai Neraluce Studio) dal solo Andrea Giolo, con cui condivide diverse parti vocali lungo tutto l’album. Endless hope apre il disco, voce e piano si sposano perfettamente, l’artista si mette a nudo e colpisce per il livello di emotività che riesce a trasmettere, un pathos che trova il suo culmine quando le note del violino punteggiano, vibrano, caricando di malinconia un racconto a cui partecipa anche il già citato Giolo. Seven suggerisce immagini, una delle grandi doti della Rubin, che riesce a coinvolgere l’ascoltatore con la sua grande sensibilità, cosa che avviene anche nella successiva e meravigliosa Maddalena, tra cantautorato colto e progressive. Dopo la breve Clouds è la volta di Sunrise promenade, stupendo strumentale dove piano e archi si intersecano in maniera davvero suggestiva, prima della toccante title track, uno dei momenti più riusciti dell’intero lavoro. Il tris finale omaggia Heresy di Hais Timur, una sorta di suite di quasi venti minuti che inizia con la malinconia strumentale e classicheggiante di Sleeping violin, per poi proseguire con La ballata degli angeli e Helen’s word, tra fraseggi che rimandano al Concerto grosso dei New Trolls e musica da camera contemporanea (complice anche l’intervento vocale di Veronica Fasanelli). Per intensità e trasporto The shadows playground è uno dei dischi più interessanti e raffinati che ho ascoltato negli ultimi mesi, un crossover di cantautorato, classica e prog esteticamente elegante e pieno di grazia, in cui Barbara ha espresso tutta sé stessa in piena liberta creativa e concettuale. Potete acquistare l'album al seguente indirizzo https://barbararubin.bandcamp.com/album/the-shadows-playground (Luigi Cattaneo)

Seven (Video)



martedì 3 novembre 2020

DANIELE SOLLO, Order and Disorder (2020)

 

Il titolo dell'album mette in evidenza il concetto di ordine e disordine, temi cari a diverse scuole filosofiche e alle teorie di Wilhelm Reich. L’ordine e il disordine sono profondamente legati, inoltre caratterizzano la composizione dell’album: elementi diversissimi fra loro – “caotici” – che generano un qualcosa di armonico, omogeneo, e viceversa. Così Daniele Sollo presenta Order and Disorder, esordio solista del bassista napoletano ma corale, visti i tanti ospiti presenti lungo le sei tracce che lo compongono, figlie delle sue esperienze con Hostsonaten, VisionAir e Stefano Agnini. L’iniziale 11-IX-1683 ha una matrice hard prog a cui partecipano Marco Dogliotti (cantante che abbiamo avuto modo di conoscere negli Hostsonaten), il bravissimo Domenico Cataldo alla chitarra, Samuele Dotti dei Mogador alle tastiere e Maurizio Berti alla batteria, una formazione notevole che apre davvero ottimamente il lavoro. Nella strumentale Turn left Sollo ci delizia con fraseggi ragguardevoli, sostenuto dalle tastiere e dalle sagge programmazioni di Jason Rubenstein dei The Hypersonic Factor (ma ha alle spalle anche una lunga carriera solista), mentre A journey, con i suoi 11 minuti, mostra tutto il lato progressive del progetto, complici anche le prove di Alessandro Corvaglia (voce di La Maschera di Cera), Stefano Agnini (tastierista dei La Coscienza di Zeno) e Valerio Lucantoni (batterista dei The Wormhole Experience). In my arms è il brano più curioso del disco, con Sollo che si muove elegante sull’arrangiamento d’archi creato da Luca Scherani (La Coscienza di Zeno, Hostsonaten, Periplo, Trama), oltre che sullo spoken di Fabio Zuffanti. Anytime anyplace è un altro momento molto strutturato, ma Daniele è bravissimo nel costruire partiture complesse eppure profondamente melodiche, aiutato dalle sapienti tastiere di Scherani e dall’interpretazione sentita di Corvaglia. La conclusiva Pavane in F# Minor mostra tutto il talento di Sollo, che si destreggia tra il suo basso e le tastiere, validissimo finale di un album suggestivo e profondo. (Luigi Cattaneo)

Album Teaser